Accademia di magia Fleur du Pêcher

Civa & Harry Potter e le pietre filosofali

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view post Posted on 17/5/2010, 17:50

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Petite Paris, la parte magica della città francese

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I Bambini sopravvissuti


Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive n°4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che fare con cose strane o misteriose.
Mr Dursley era direttore di una ditta di nome Grunnings, che fabbricava trapani. Era un uomo corpulento, nerboruto, quasi senza collo e con un grosso paio di baffi. Mrs Dursley era magra, bionda e con un collo quasi due volte più lungo del normale, il che le tornava assai utile, dato che passava la maggior parte del tempo ad allungarlo oltre la siepe del giardino per spiare i vicini. I Dursley avevano un figlioletto di nome Dudley e secondo loro non esisteva al mondo bambino più bello.
Possedevano tutto quello che si poteva desiderare, ma avevano anche un segreto, e il loro più grande timore era che qualcuno potesse scoprirlo. Non credevano che avrebbero potuto sopportare che qualcuno venisse a sapere dei Potter. Mrs Dursley era la sorella di Mrs Potter, ma non si vedevano da anni. Anzi, Mrs Dursley faceva addirittura finta di non avere sorelle, perché Mrs Potter e quel buono a nulla di suo marito non potevano essere più diversi da loro di così. I Dursley rabbrividivano al solo pensiero di quello che avrebbero potuto direi vicini se i Potter si fossero fatti vedere nei paraggi. Sapevano che i Potter avevano due figli piccoli, ma non li avevano mai visti. E i ragazzini erano una ragione in più per tenere alla larga i Potter: non che Dudley frequentasse due bambini di quel genere.
Quando i coniugi Dursley si svegliarono la mattina di quel martedì grigio e coperto in cui inizia la nostra storia, nel cielo nuvoloso nulla faceva presagire le cose strane e misteriose che di lì a poco sarebbero accadute in tutto il Paese. Mr Dursley scelse fischiettando la cravatta più anonima del suo guardaroba, e Mrs Dursley continuò a chiacchierare ininterrottamente mentre, con grande sforzo, costringeva sul seggiolone Dudley che urlava a squarciagola.
Nessuno notò il grosso gufo bruno che passò con un frullo d’ali davanti alla finestra.
Alle otto e mezzo, Mr Dursley prese la sua ventiquattrore, sfiorò con le labbra la guancia della moglie e tentò di dare un bacio a Dudley, ma lo mancò perché in quel momento, in presa a un furioso capriccio, il pupo stava scagliando i suoi fiocchi d’avena contro il muro.
“Piccolo monello!” commentò Mr Dursley ridendo mentre usciva da casa. Salì in macchina e percorse a marcia indietro il vialetto del n°4.
Fu all’angolo della strada che notò le prime avvisaglie di qualcosa di strano: un gatto che leggeva una mappa. Per un attimo, Mr Dursley non si rese conto di quel che aveva visto; poi girò di scatto la testa e guardò di nuovo. C’era un gatto soriano ritto sulle zampe posteriori, ma di mappe neanche l’ombra. Ma che diavolo aveva per la testa? La luce doveva avergli giocato qualche brutto tiro. Si stropicciò gli occhi e fissò il gatto, che gli ricambiò l’occhiata. Mentre l’auto girava l’angolo e percorreva un tratto di strada, Mr Dursley tenne d’occhio il gatto nello specchietto retrovisore. In quel momento il felino stava leggendo il cartello stradale che indicava Privet Drive. No, lo stava solo guardando; i gatti non sanno leggere le mappe e nemmeno i cartelli stradali. Mr Dursley si riscosse da quei pensieri e allontanò il gatto dalla mente. Mentre si dirigeva in città, non pensò ad altro che al grosso ordine di trapani che sperava di ricevere quel giorno.
Ma una volta giunto ai sobborghi della città, avvenne qualcos’altro che gli fece uscire di mente i trapani. Fermo nel solito ingorgo del mattino, non poté fare a meno di notare che in giro c’erano un sacco di persone vestite in modo bizzarro. Gente con indosso dei mantelli. Mr Dursley non sopportava le persone che si vestivano in modo stravagante: bisognava vedere come si conciavano certi giovani! Immaginò che si trattasse di qualche stupidissima nuova moda. Mentre tamburellava con le dita sul volante, lo sguardo gli cadde su un capannello di quegli strampalati vicinissimo lui. Si stavano bisbigliando qualcosa tutti eccitati. Mr Dursley sentì montargli la rabbia nel constatare che ce ne erano alcuni tutt’altro che giovani. Ma che roba! Quello lì doveva essere più anziano di lui e portava un mantello verde smeraldo! Che faccia tosta! Poi, però, gli venne in mente che potesse trattarsi di qualche sciocca trovata. Ma certo! Era gente che faceva una colletta per qualche motivo. Sì, doveva essere proprio così. In quella, il traffico riprese a scorrere e alcuni minuti più tardi Mr Dursley giunse al parcheggio della Grunnings con la mente di nuovo tutta presa dai trapani.
Nel suo ufficio, al nono piano, Mr Dursley sedeva sempre con la schiena rivolta alla finestra. Se così non fosse stato, avrebbe avuto ancor più difficoltà a concentrarsi sui suoi trapani. Lui non vide i gufi volare a sciami in pieno giorno, ma la gente per strada sì. E li additavano, guardandoli a bocca aperta, passare a tutta velocità, uno dopo l’altro sopra le loro teste. La maggior parte di quella gente non aveva mai visto un gufo neanche di notte. Ciò nonostante, Mr Dursley ebbe il privilegio di una mattina perfettamente normale, del tutto priva di gufi. Uscì dai gangheri con cinque persone diverse, fece molte telefonate importanti e qualche altro urlaccio. Fino all’ora di pranzo il suo umore si mantenne ottimo. A quel punto decise che, per sgranchirsi le gambe, avrebbe attraversato la strada per andarsi a comperare una ciambella dal fornaio di fronte.
Aveva completamente dimenticato la gente con il mantello fino a che non ne superò un gruppetto proprio accanto al fornaio. Mentre passava, scoccò loro un’occhiata furente. Non sapeva perché, ma avvertì un certo disagio. Anche questi bisbigliavano tutti eccitati, ma di bossoli per la colletta nemmeno l’ombra. Fu passandogli accanto al ritorno dal fornaio, portando sottobraccio mano l’involto della ciambella, che colse qualcosa di quello che stavano dicendo.
“I Potter, proprio così, è quello che ho sentito... ”.
“... Già, i figli, Civa ed Harry... ”
Mr Dursley si fermò di colpo. Fu invaso dalla paura. Si voltò a guardare il capannello di maldicenti come se volesse dire loro qualcosa, ma poi ci ripensò.
Attraversò la strada a precipizio e raggiunse in tutta fretta il suo ufficio, intimò alla segretaria di non disturbarlo per nessun motivo, afferrò il ricevitore, e aveva quasi finito di fare il numero di casa quando cambiò idea... No, era stato uno sciocco. Potter non era poi un nome così insolito. Era certo che esistessero miriadi di persone chiamate Potter che avevano due figli di nome Civa ed Harry. Non era neanche sicuro che i suoi nipoti si chiamassero Civa ed Harry. Del resto, non li aveva nemmeno mai visti. Avrebbero potuto chiamarsi Sheila e Harvey. O Tina e Harold. Non c’era ragione di impensierire Mrs Dursley, se la prendeva tanto ogni volta che le si nominava la sua famiglia! E non poteva darle torto. Se l’avesse avuta lui, una famiglia così... E tutta via, quella gente avvolta nei mantelli...
Quel pomeriggio trovò molto più difficile concentrarsi sui suoi trapani, e quando lasciò l’ufficio alle cinque in punto, era ancora talmente assorto che, appena varcata la soglia, andò a sbattere dritto dritto contro una persona.
“Scusi” bofonchiò mentre il poveretto - un uomo anziano e mingherlino - inciampava e per poco non finiva lungo disteso. Ci volle qualche secondo perché Mr Dursley si rendesse conto che l’uomo indossava un mantello viola. L’ometto però non aveva affatto l’aria di essersela avuta a male per essere stato quasi scaraventato a terra. Al contrario, il volto gli s’illuminò di un largo sorriso e con una vocina stridula che destò l’attenzione dei passanti, disse: “Non si scusi, mio caro signore, perché oggi non c’è niente che possa turbarmi! Si rallegri, perché lei sa chi se n’è andato! Anche i Babbani come lei dovrebbero festeggiare questo felice, felicissimo evento!”
A quel punto, il vecchietto abbracciò Mr Dursley cingendolo alla vita e poi si allontanò.
Mr Dursley rimase lì, impalato. Era stato abbracciato da un perfetto sconosciuto. Gli tornò anche in mente che quel tale lo aveva chiamato Babbano, qualsiasi cosa volesse dire. Era esterrefatto. Si affrettò a raggiungere la macchina e partì alla volta di casa, sperando di aver lavorato di fantasia, cosa che non aveva mai sperato prima perché non approvava le fantasie.
Non appena ebbe imboccato il vialetto del n°4 di Privet Drive, la prima cosa che vide, e che certo non contribuì a migliorare il suo umore, fu il gatto che aveva visto alla mattina seduto sul muro di cinta. Era certo che fosse quello della mattina: aveva gli stessi segni intorno agli occhi.
“Sciò!” gli gridò Mr Dursley.
Il gatto non si mosse. Si limitò a fissarlo con sguardo severo.
Mr Dursley si chiese se normalmente i gatti si comportavano così. Cercando di riprendersi, entrò in casa: era ancora deciso a non dire niente alla moglie.
Mrs Dursley aveva avuto una buona giornata, in tutto e per tutto normale. A cena, gli raccontò per filo e per segno i guai che la signora della porta accanto aveva con la figlia, e poi che Dudley aveva imparato una nuova frase: “Neanche per sogno!”. Mr Dursley cercò di comportarsi normalmente. Una volta messo a letto Dudley, se ne andò in soggiorno appena in tempo per sentire l’ultimo telegiornale.
“E in fine, da tutte le postazioni, gli avvistatori di uccelli ci riferiscono che oggi, sull’intero territorio nazionale, i gufi hanno manifestato un comportamento insolito. Sebbene normalmente escano di notte a caccia di prede e ben di rado vengano avvistati di giorno, fin dall’alba sono stati segnalati centinaia di gufi che volavano in tutte le direzioni. Gli esperti non sanno spiegare perché, tutt’a un tratto, i gufi abbiano cambiato il loro ritmo sonno-veglia” Lo speaker si lasciò andare a un sorrisetto. “Molto misterioso. E ora, la parola a Jim McGuffin per le previsioni del tempo. Si prevedono altri scrosci di gufi, stanotte, Jim?”.
“Francamente, Ted” rispose il metereologo, “su questo non so dirti niente, ma oggi non sono stati soltanto i gufi a comportarsi in modo strano. Gli esperti di località distanti fra loro come il Kent, lo Yorkshire e Dundee mi hanno telefonato per informarmi che, invece della pioggia che avevo promesso ieri, hanno avuto un diluvio di stelle cadenti. Chissà? Forse si è festeggiata in anticipo la Notte dei Fuochi. Ma, gente, la Notte dei Fuochi è soltanto tra una settimana! Comunque, posso assicurare che stanotte pioverà”.
Mr Dursley rimase seduto in poltrona, come paralizzato. Stelle cadenti in tutta la Gran Bretagna? Gente misteriosa che si aggira dappertutto avvolta in mantelli? E quelle voci, quei bisbigli sui Potter...
Mrs Dursley entrò in quel momento portando due tazze da tè.
Non c’era niente da fare: doveva dirle qualcosa. Si schiarì nervosamente la gola. “Ehm... Petunia, mia cara... non è che per caso hai sentito tua sorella, di recente?”
“No” rispose seccamente. “Perché?”
“Mah, non so... al telegiornale hanno detto cose strane” bofonchiò Mr Dursley. “Gufi... stelle cadenti... E oggi, in città, un sacco di gente strampalata... ”
“E allora?” sbottò Mrs Dursley.
“Niente, pensavo soltanto... Forse... Qualcosa che avesse a che fare con lei e... con lei e i suoi”.
Mrs Dursley sorseggiò il tè a labbra strette. Mr Dursley si chiedeva intanto se avrebbe mai osato dirle di aver sentito pronunciare il nome “Potter”. Decise che non avrebbe osato. E invece, con il tono più naturale che gli riuscì di trovare, disse: “I figli... dovrebbero avere la stessa età di Dudley, non è vero?”
“Suppongo di sì” rispose Mrs Dursley, rigida come una scopa.
“E, come si chiamano? Sira e Howard, no?”
“Civa ed Harry! Che poi sono davvero dei nomi volgari; se proprio lo vuoi sapere”
“Eh già” disse Mr Dursley con il cuore che gli si faceva pesante come il piombo. “Sono proprio d’accordo”.
Salirono in camera per andare a dormire senza più dire una parola sull’argomento. Mentre la moglie era in bagno, Mr Dursley si avvicinò guardingo alla finestra della camera da letto e sbirciò fuori, nel giardino. Il gatto era ancora lì. Stava scrutando Privet Drive, come se stesse aspettando qualcosa.
La sua fantasia galoppava troppo? Tutto questo poteva avere qualcosa a che fare con i Potter? Se sì... Cioè se veniva fuori che loro erano parenti di gente... Beh, non credeva proprio di poterlo sopportare.
Si misero a letto. Lei si addormentò quasi subito, ma lui rimase lì disteso, con gli occhi sbarrati, a rigirarsi tutto quanto nella mente. L’ultimo, confortante pensiero che ebbe prima di addormentarsi fu che, se anche i Potter avevano veramente qualcosa a che vedere con quella faccenda, non era affatto detto che dovessero farsi vivi con loro. I Potter sapevano molto bene quel che lui e Petunia pensavano di loro e di quelli della loro risma... Non vedeva proprio come potessero venire coinvolti, di qualsiasi cosa si trattasse - e qui sbadigliò e si girò dall’altra parte - la cosa non poteva riguardarli...
Ma si sbagliava di grosso. Se Mr Dursley era scivolato in un sonno agitato, il gatto, seduto sul muretto di fuori, non dava alcun segno d’aver sonno. Sedeva immobile come una statua, con gli occhi fissi e senza batter ciglio sull’angolo opposto di Privet Drive. E non ebbe neanche il minimo soprassalto quando, nella strada accanto, la portiera di una macchina sbatté forte, né quando due gufi gli sfrecciarono sopra la testa. Dovette farsi quasi mezzanotte prima che il gatto facesse il minimo movimento.
Un uomo apparve all’angolo della strada che il gatto aveva tenuto d’occhio; ma apparve così all’improvviso e così silenziosamente che si sarebbe detto fosse spuntato da sotto terra. La coda del gatto ebbe un guizzo e gli occhi divennero due fessure.
In Privet Drive non si era mai visto niente di simile. Era alto, magro e molto vecchio, a giudicare dall’argento dei capelli e della barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura. Indossava abiti lunghi e un mantello color porpora che strusciava per terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie.
Dietro gli occhiali a mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse stato rotto almeno due volte. L’uomo si chiamava Albus Silente.
Albus Silente non pareva rendersi conto di essere appena arrivato in una strada dove tutto, dal suo nome ai suoi stivali, risultava sgradito. Si dava un gran da fare a rovistare nel mantello, in cerca di qualcosa. Sembrò invece rendersi conto di essere osservato, perché all’improvviso guardò il gatto, che lo stava ancora fissando dall’estremità opposta della strada. Per qualche ignota ragione, la vista del gatto sembrò divertirlo. Ridacchiò tra sé borbottando: “Avrei dovuto immaginarlo”.
Aveva trovato quel che stava cercando nella tasca interna del mantello. Sembrava un accendino d’argento. Lo aprì con uno scatto, lo tenne sollevato e lo accese. Il lampione più vicino si fulminò con un piccolo schiocco. L’uomo lo fece scattare di nuovo, e questa volta si fulminò il lampione appresso. Dodici volte fece scattare quel suo ‘Spegnino’, fino a che l’unica illuminazione rimasta in tutta la strada, furono due capocchie di spillo in lontananza: gli occhi del gatto che lo fissavano. Se in quel momento qualcuno - perfino quell’occhio di lince di Mrs Dursley - avesse guardato fuori dalla finestra, non sarebbe riuscito a vedere niente di quel che accadeva in strada. Silente si fece scivolare di nuovo nella tasca del mantello il suo ‘Spegnino’ e s’incammino verso il numero quattro di Privet Drive, dove si mise a sedere sul muretto, accanto al gatto. Non lo guardò, ma dopo un attimo gli rivolse la parola.
“Che combinazione! Anche lei è qui, professoressa McGranitt?”
Si voltò verso il soriano con un sorriso, ma quello era scomparso. Al suo posto, davanti a lui c’era una donna dall’aspetto piuttosto severo, che portava un paio di occhiali squadrati dalla forma identica a quella dei segni che il gatto aveva intorno agli occhi. Anche lei indossava un mantello, ma color smeraldo. I capelli neri erano raccolti in uno chignon. Aveva l’aria decisamente scombussolata.
“Come faceva a sapere che ero io?” chiese.
“Ma, mia cara professoressa, non ho mai visto un gatto seduto in una posa così rigida!”.
“Anche lei sarebbe rigido se fosse rimasto seduto tutto il giorno su un muretto di mattoni!” rimbeccò la professoressa McGranitt.
“Tutto il giorno? Quando invece avrebbe potuto festeggiare? Venendo qua mi sono imbattuto in una decina e più di feste e banchetti”.
La professoressa McGranitt tirò su rabbiosamente col naso.
“Eh già, sono proprio tutti lì che festeggiano” disse in tono impaziente. “Ci si sarebbe potuti aspettare che fossero un po’ più prudenti, macché... Anche i Babbani hanno notato che sta succedendo qualcosa. Lo hanno detto ai loro telegiornali” e così dicendo si voltò verso la finestra buia del salotto dei Dursley. “L’ho sentito personalmente. Stormi di gufi... stelle cadenti... Beh, non sono mica del tutto stupidi. Prima o poi dovevano notare qualcosa. Stelle cadenti nel Kent... Ci scommetto che è stato Dedalus Lux, è sempre stato un po’ svitato”.
“Non gli si può dar torto” disse Silente con dolcezza. “Per undici anni abbiamo avuto ben poco da festeggiare”.
“Lo so, lo so” disse la professoressa McGranitt in tono irritato. “Ma non è una buona ragione per perdere la testa. Stanno commettendo una grave imprudenza, a girare per la strada in pieno giorno senza neanche vestirsi da Babbano, e scambiandosi indiscrezioni”
A questo punto, lanciò a Silente un’occhiata obliqua e penetrante, sperando che lui dicesse qualcosa; ma così non fu. Allora continuò: “Sarebbe un bel guaio se, proprio il giorno in cui Lei Sa Chi sia finalmente scomparso, i Babbani venissero a sapere di noi. Ma siamo proprio sicuri che se ne sia andato, Silente?”
“Sembra proprio di sì” rispose questi. “Dobbiamo essere molto grati. Le andrebbe un ghiacciolo al limone?”.
“Un che?”
“Un ghiacciolo al limone. E’ un dolce che fanno i Babbani: io ne vado matto”.
“No, grazie” rispose la professoressa McGranitt, come a voler dire che non era il momento dei ghiaccioli al limone. “Come dicevo, anche se Lei Sa Chi se né andato veramente... ”.
“Mia cara professoressa, una persona di buon senso come lei potrebbe decidersi a chiamarlo anche per nome‼ Tutte queste allusioni a ‘Lei Sa Chi’ sono una vera stupidaggine... Sono undici anni che cerco di convincere la gente a chiamarlo col suo vero nome: Voldemort”. La professoressa McGranitt trasalì, ma Silente, che stava scartando un ghiacciolo, sembrò non farvi caso. “Crea tanta di quella confusione continuare a dire ‘Lei Sa Chi’. Non ho mai capito per quale ragione bisognasse avere tanta paura di pronunciare il nome di Voldemort”.
“Io lo so bene” disse la professoressa McGranitt, in tono a metà fra l’ammirato e l’esasperato. “Ma per lei è diverso. Lo sanno tutti che lei è il solo di cui Lei-Sa... oh, d’accordo: Voldemort... aveva paura”.
“Lei mi lusinga” disse Silente con calma. “Voldemort a poteri che io non avrò mai”.
“Soltanto perché lei è troppo... troppo nobile...per usarli”.
“Meno male che è buio. Non arrossivo tanto da quando Madama Chips mi disse quanto le piacevano i miei paraorecchie!”.
La professoressa scoccò a Silente un’occhiata penetrante, poi disse: “I gufi non sono niente in confronto alle voci che sono state messe in giro. Sa che cosa dicono tutti? Sul perché se n’è andato? Su quel che l’ha fermato una buona volta?”
Sembrava che la professoressa McGranitt avesse toccato il punto che più le premeva di discutere, la vera ragione per cui era rimasta tutto il giorno seduta su quel muretto freddo e duro, perché mai - né da donna né da gatto - aveva fissato Silente con uno sguardo così penetrante. Era chiaro che qualsiasi cosa ‘tutti’ mormorassero, lei non lo avrebbe creduto sin quando Silente non le avesse detto che era vero. Ma lui era occupato col suo ghiacciolo al limone, e non ripose.
“Quel che vanno dicendo” incalzò lei, “è che la notte scorsa Voldemort è spuntato fuori a Goldrick’s Hollow. È andato a trovare i Potter. Corre voce che Lily e James siano... siano... insomma, siano morti”.
Silente chinò la testa. La professoressa ebbe un piccolo singhiozzo.
“Lily e James... Non posso crederci... Non volevo crederci... Oh, Albus... ”. Poi sussultò. “E i bambini? A chi verranno affidati? A Severus? Dio non voglia, non sono tanto sicura che Severus sia proprio tornato... E Remus... o Sirius?”
“A nessuno di loro” rispose Silente gravemente. “Severus non prenderebbe mai con sé Harry, anche se io gliel’affiderei con enorme piacere, sarebbe il meglio per loro e per Severus; a Remus non darebbero mai l’affidamento, e tu lo sai... e Sirius... Beh, non potrà prendersi cura di loro. Ma prima o poi Remus porterà a compimento la sua promessa, e anche Severus avrà ciò che gli spetta”.
La McGranitt proseguì con voce tremante: “E non è tutto. Dicono che ha anche tentato di uccidere i piccini. Ma che... non ci è riuscito. Quei piccolini, non è riuscito ad ucciderli. Nessuno sa perché né come, ma dicono che quando Voldemort non ce l’ha fatta a uccidere Civa e Harry Potter, in qualche modo il suo potere è venuto meno... ed è per questo che se n’è andato”.
Silente annuì malinconicamente.
“È... è vero?” balbettò la professoressa McGranitt. “Dopo tutto quello che ha fatto... dopo tutti quelli che ha ammazzato. non è riuscito ad uccidere due bambini indifesi? È strabiliante... è vero, Civa è speciale, però... di tutte le cose che avrebbero potuto fermarlo... Ma in nome del cielo, come hanno fatto Civa ed Harry a sopravvivere?”.
“Possiamo solo fare congetture” disse Silente. “Forse non lo sapremo mai”.
La professoressa McGranitt tirò fuori un fazzoletto di trina e si asciugò gli occhi dietro gli occhiali. Con un profondo sospiro Silente estrasse dalla tasca un orologio d’oro e lo esaminò. Era un orologio molto strano. Aveva dodici lancette, ma al posto dei numeri c’erano alcuni piccoli pianeti che si muovevano tutto intorno al quadrante. Evidentemente Silente lo sapeva leggere, perché lo ripose di nuovo nella tasca e disse: “Hagrid è in ritardo. A proposito, suppongo che sia stato lui a dirle che sarei venuto qua”.
“Sì” rispose la McGranitt, “anche se non credo che lei mi dirà perché mai, di tanti posti, abbia scelto proprio questo”.
“Sono venuto a portare Civa ed Harry dai loro zii. Sono gli unici parenti che hanno”.
“Non vorrà mica dire... Non saranno mica quei due che abitano lì!” esclamò la McGranitt balzando in piedi e indicando il N°4. “Silente... non è possibile! È tutto il giorno che li osservo. Non avrebbe potuto trovare persone più diverse da noi. E poi quel ragazzino che hanno... l’ho visto prendere a calci sua madre per tutta la strada, urlando che voleva le caramelle! Harry e Civa Potter... venire ad abitare qui?”.
“È il posto migliore per loro” disse Silente con fermezza. “La zia e lo zio potranno spiegargli tutto quando saranno più grandi. Ho scritto loro una lettera”.
“Una lettera?” gli fece eco la McGranitt con un filo di voce, tornando a sedersi sul muretto. “Ma davvero, Silente, crede di poter spiegare tutto con questa lettera? Questa gente non capirà mai Harry e Civa Potter. Loro diventeranno famosi... leggendari! Non mi stupirebbe se in futuro la giornata di oggi venisse designata come la festa di Civa ed Harry Potter. Su di loro si scriveranno volumi, tutti i bambini conosceranno i loro nomi!”
“Proprio così” disse Silente fissandola tutto serio da sopra gli occhiali a mezzaluna. “Ce n’è abbastanza per far girare la testa a qualsiasi ragazzo. Famosi per qualcosa di cui non conserveranno il minimo ricordo! Non riesce a capire quanto staranno meglio, se cresceranno lontano da tutto questo fino al giorno in cui saranno abbastanza grandi da reggerlo?”.
La professoressa McGranitt aprì bocca per rispondere, poi cambiò idea, inghiottì e disse: “Sì... sì, lei ha ragione. Ma in che modo arriveranno qua i piccini?”
“Li porterà Hagrid”
“E a lei pare... saggio... affidare a Hagrid un compito tanto importante?”
“Affiderei a Hagrid la mia stessa vita” disse Silente.
“Non dico che non abbia cuore” dovette ammettere la McGranitt, “ma non verrà mica a dirmi che non è uno sventato. Tende a... Ma cosa è stato?”
Il silenzio che li circondava era stato lacerato da un rombo cupo. Mentre Silente e la McGranitt percorrevano con lo sguardo la stradina per vedere se si avvicinassero dei fari, il rumore si fece sempre più forte, fino a diventare un boato. Entrambi levarono lo sguardo al cielo e dall’aria piovve una gigantesca motocicletta che atterrò sull’asfalto proprio davanti a loro.
Pur colossale come’era, la moto sembrava niente a confronto con l’uomo che la inforcava. Era alto circa due volte un uomo normale e almeno cinque volte più grosso. Sem brava semplicemente troppo per essere vero, e aveva un aspetto terribilmente selvaggio: lunghe ciocche d’ispidi capelli neri e una folta barba gli nascondevano gran parte del viso; ogni mano era grande come il coperchio di un bidone dei rifiuti e i piedi, che calzavano stivali di cuoio, sembravano due piccoli delfini. Tra le braccia immense e muscolose reggeva un involto di coperte.
“Hagrid!” esclamò Silente con tono sollevato. “ Finalmente! Ma dove hai preso quel veicolo?”
“Un prestito, professor Silente”; e così dicendo il gigante scese con circospezione dalla motocicletta. “Del giovane Sirius Black. Loro ce li ho qui, signore”
“Ci sono stati problemi?”
“Beh... ” fece Hagrid vago.
“Che cosa?”
“Quando ha capito cos’era successo... ” fece Hagrid. “Civa si è messa a piangere gridando “Sev” e “Remu” fino a che non si è addormentata mentre volavamo sopra Bristol stringendo il Rubino e... questo” porse a Silente un distintivo dorato.
Silente lo prese e lesse le iscrizioni che vi erano incise.
“A quanto pare, quando compirà undici anni, Civa diventerà la prima donna 1° Ministro della Magia” disse. “Il destino di questa piccina è molto complicato... ” si chinò sull’involto di coperte.
Una bimba dai lunghi boccoli ebanei e grandi occhi verdi stringeva tra le manine un grosso rubino a goccia che portava legato al collo con una catenella d’oro. Con infinita tenerezza, Silente le tolse il medaglione e se lo infilò in tasca.
“Questo lo riavrà da Severus quando ne avrà bisogno” sentenziò prendendo delicatamente l’involto mentre la bambina prendeva la mano del fratellino.
Sotto i ciuffetti di capelli neri che spuntavano sulle loro fronti, si scorgevano due tagli dalle forme bizzarre, simili a due saette, perfettamente identici.
La McGranitt si chinò sui piccoli.
“È qui che... ” chiese in un bisbiglio la professoressa McGranitt indicando i due tagli.
“Sì” rispose Silente. “Queste cicatrici se le terranno per sempre... e saranno loro molto utili”.
“Posso... posso fare loro un salutino, signore?” chiese Hagrid.
Chinò la grossa e ispida testa su Civa e Harry e dette loro un bacio rasposo per via di tutto quel pelo.
La bambina si svegliò e socchiuse i grandi occhioni smeraldini.
“Nonno!” trillò vedendo Silente mentre gli occhi le si riempiva di lacrime. “Mamma e papà sono morti! Voglio Sev e Remu, dove sono?!” si mise a gridare, in lacrime, dibattendo i pugnetti in aria.
Silente si chinò sulla piccina e le sussurrò qualcosa. Immediatamente, quella s’immobilizzò e lo guardò ad occhi spalancati.
“Me lo prometti, nonno Albus?” disse con un filo di voce.
Silente annuì e la bimba con un debole sorriso, si riaddormentò. Silente guardò i piccini con tenerezza e scavalcò il muretto del N°4. Attraversò il giardino, posò dolcemente i bambini sul gradino, tirò fuori una lettera da sotto il mantello e l’appoggiò tra le coperte che avvolgevano i bambini. Poi tornò dagli altri due e rimasero a guardare il fagottino per un lungo istante.
“Be’, io devo riportare la moto a Sirius. Ci vediamo professoressa McGranitt. ‘Notte professor Silente” salutò Hagrid. Rimontò sulla motocicletta e, con un rombo, risalì in cielo e scomparve nella notte.
“A presto, Minerva” disse Silente mentre la McGranitt scompariva e un gatto soriano si allontanava.
Silente si avviò lungo la strada e, giunto all’angolo, si voltò. Estrasse il suo ‘Spegnino’ e lo fece scattare: dodici sfere luminose si riaccesero di colpo nei lampioni, illuminando Privet Drive di un bagliore aranciato. A quel chiarore, una bimba piccina in piedi sul gradino del N°4 lo salutava.
“Buona fortuna, Civa e Harry!” gridò. Poi girò sui tacchi e scomparve.
Una lieve brezza scompigliava le siepi perfette di Privet Drive, che riposava, ordinata e silenziosa, sotto il cielo nero come l’inchiostro. L’ultimo posto dove ci si sarebbe aspettati di veder accadere cose stupefacenti. Sotto le loro coperte, Harry e Civa Potter si girarono dall’altra parte, senza sapere che erano speciali, senza sapere che erano famosi, senza sapere che di lì a poche ore si sarebbero svegliati al grido di Mrs Dursley che apriva la porta per mettere fuori le bottiglie del latte, né che le settimane seguenti le avrebbero passate a farsi riempire di pizzicotti e spintoni da loro cugino Dudley... non potevano sapere che, proprio in quel momento, da un capo all’altro del Paese, c’era gente che in segreto alzava i calici e brindava “A Civa e Harry Potter, i bambini che sono sopravvissuti”.
 
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view post Posted on 18/5/2010, 14:33

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Vetri che scompaiono



Erano passati quasi dieci anni da quando i Dursley si erano svegliati una mattina e avevano trovato i nipoti sul gradino di casa, ma Privet Drive non era cambiata affatto. Il sole sorgeva sugli stessi giardinetti ben tenuti e illuminava il N°4 d’ottone sulla porta d’ingresso dei Dursley; s’insinuava nel loro soggiorno, che era pressoché identico a quella sera in cui Mr Dursley aveva visto il fatidico telegiornale che parlava di gufi. Soltanto le fotografie sulla mensola del caminetto denotavano quanto tempo fosse passato in realtà. Dieci anni prima c’era un’infinità di fotografie di quello che sembrava un grosso pallone da spiaggia rosa, con indosso cappellini di vari colori. Ma Dudley Dursley non era più un lattante, e ora le fotografie ritraevano un bambinone biondo in sella alla sua prima bicicletta, sulle giostre alla fiera, che giocava al computer col padre, o che si faceva abbracciare e baciare dalla madre. Nulla, in quella stanza, denotava che in casa vivevano altri due bambini.
Eppure, Harry e Civa Potter abitavano ancora lì; in quel momento dormivano, ma non sarebbe stato per molto. Zia Petunia era sveglia e la sua voce stridula fu il primo rumore della giornata che iniziava. “Su, alzatevi! Immediatamente!”
Harry e Civa si svegliarono di soprassalto. La zia tamburellò di nuovo sulla porta.
“Sveglia!” urlò. Harry e Civa sentirono i suoi passi avviarsi verso la cucina e poi il rumore della padella che veniva messa sul fornello. Si guardarono: si erano tenuti per mano tutta la notte. Cercarono di ricordare il sogno che stavano facendo. Era un bel sogno. C’era una motocicletta volante. Ma era veramente un sogno? Spesso Civa pensava che potessero essere ricordi della vita prima dei Dursley...
Ecco di nuovo la zia dietro la porta.
“Non vi siete ancora alzati?” chiese.
“Siamo quasi pronti” risposero all’unisono i Gemelli.
“Be’, vedete di spicciarvi, voglio che sorvegliate il bacon che ho messo sul fuoco. E non vi azzardate a farlo bruciare. Voglio che tutto sia perfetto, il giorno del compleanno di Duddy”.
Civa ed Harry si lasciarono sfuggire un gemito.
“Cos’avete detto?” chiese aspra la zia da dietro la porta.
“Niente. Niente...”
Il compleanno di Dudley... come avevano potuto dimenticarlo? Si alzarono lentamente e cominciarono a vestirsi.
“Mi passi la mini bianca? Dev’essere sull’ultima mensola là!” fece Civa indicando lo scaffale dietro al fratello.
Harry s’arrampicò sui ripiani più bassi e tirò giù la gonna della sorella.
“Tie’... odio ‘sto ripostiglio” disse lanciandogliela e spazzando via un ragno dai pantaloni.
“Siamo in due” replicò la ragazza risistemandosi i boccoli ribelli. “Diddy compie gli anni! Non è meraviglioso? Disgustoso” aggiunse imitando la voce di zia Petunia con una smorfia schifata.
Harry rise.
Uscirono del ripostiglio, attraversarono l’ingresso ed entrarono in cucina. Il tavolo scompariva quasi sotto la pila dei regali di compleanno di Dudley. Sembrava che Dudley fosse riuscito ad ottenere il nuovo computer che desiderava, per non parlare del secondo televisore e della bici da corsa. Il motivo per cui Dudley voleva una bici da corsa, per Civa ed Harry era un mistero, visto che Dudley era molto grasso e detestava fare moto; a meno che – inutile dirlo – non si trattasse di prendere a pugni qualcuno. Il punching-ball preferito di Dudley era Harry, mentre con Civa si divertiva a molestarla, quando riusciva ad acchiapparli, il che non era facile. Non sembrava, ma i Gemelli erano molto veloci.
Forse per il fatto che vivevano in un ripostiglio buio Harry e Civa e Harry erano sempre stati bassi per la loro età. Harry sembrava più piccolo di quanto non fosse perché indossava sempre gli abiti smessi di Dudley, che era quattro volte più grosso di lui; Civa invece si poteva permettere abiti nuovi che mettessero in evidenza le sue forme cucinando per gli zii ed i vicini. I Gemelli erano due ragazzi molto affascinanti, con visi sottili, gambe perfette, boccoli neri morbidi e lucenti e magnifici occhi verde chiaro. Civa aveva il seno pronunciato, i fianchi morbidi, i glutei sodi e braccia e gambe ben tornite: un’aura magica la circondava e nessuno riusciva a resistere al suo fascino e alla sua bellezza. Harry portava occhiali rotondi, tenuti insieme con un sacco di nastro adesivo per tutte le volte che Dudley lo aveva preso a pugni sul naso; Civa aveva convinto – chissà come – zio Vernon a comprarle le lenti a contatto. Ma la cosa che più piaceva ai Gemelli del loro aspetto, erano le sottili cicatrici saettiformi che avevano sulle fronti: erano perfettamente identiche. Per quanto ricordavano, le avevano da sempre, e la prima domanda che avevano rivolto a zia Petunia era stata come se le fossero fatte.
“Nell’incidente d’auto in cui sono morti i vostri genitori, e niente domande” aveva risposto lei brusca.
Niente domande: era questa la regola per vivere in pace, con i Dursley.
Zio Vernon entrò in cucina mentre Civa girava il bacon.
“Fila a pettinarti, ragazzo!” sbraitò a mo’ di buongiorno.
Circa una volta a settimana, zio Vernon dal suo giornale e urlava che Harry doveva tagliarsi i capelli. Di tagliarsi i capelli Harry aveva bisogno più di tutti i suoi compagni di classe messi insieme; ma non c’era niente da fare, se non li lasciava crescere lunghi come faceva Civa, quelli rimanevano ostinatamente in disordine.
Quando Dudley e sua madre entrarono in cucina, Harry stava friggendo le uova. Dudley assomigliava molto a zio Vernon. Aveva un gran faccione roseo, quasi niente collo occhi piccoli di un celeste acquoso, e folti capelli biondi e lisci che gli pendevano su un gran testone. Spesso zia Petunia diceva che Dudley sembrava un angioletto; Harry e Civa invece, dicevano che sembrava un maiale con la parrucca.
Harry e Civa mise in tavola i piatti con le uova e il bacon. Nel frattempo Dudley contava i regali. Gli si lesse sul viso il disappunto.
“Trentasei” disse volgendosi a guardare il padre e la madre. “Due meno dell’anno scorso”.
“Caro, non hai contato il regalo di zia Marge. Vedi, è qui, sotto questo regalone grosso grosso di mamma e papà”.
“D’accordo, trentasette” disse Dudley tutto paonazzo. Civa ed Harry, avendo capito che era in arrivo uno dei terrificanti capricci alla Dudley, cominciarono a trangugiare il loro bacon il più in fretta possibile, in caso il cugino avesse buttato il tavolo a gambe all’aria.
Evidentemente, anche zia Petunia annusò il pericolo, perché si affrettò a dire: “E oggi, mentre siamo fuori, ti compreremo altri due regali. Che ne dici, tesoruccio? Altri due regali. Va bene così?”
Dudley ci pensò un attimo. Lo sforzo sembrò immenso. Alla fine disse lentamente: “Così ne avrò trenta... trenta...”
“Trentanove, dolcezza mia” disse zia Petunia.
“Ah!” Dudley si lasciò cadere pesantemente su una sedia e afferrò il pacchetto più vicino. “Allora va bene”.
Zio Vernon ridacchiò sotto i baffi.
“Questa piccola canaglia vuole avere tutto quel che gli spetta fino all’ultimo, proprio come il suo papà. Bravo, Dudley!” E gli scompigliò i capelli.
In quel momento, squillò il telefono e zia Petunia andò a rispondere mentre Civa, Harry e zio Vernon rimasero a guardare Dudley scartare la bicicletta da corsa, una cinepresa, un aeroplano telecomandato, sedici nuovi videogiochi e un videoregistratore. Stava strappando la carta di un orologio da polso d’oro quando zia Petunia entrò nella stanza con l’aria arrabbiata e preoccupata a un tempo.
“Cattive notizie, Vernon” disse. “Mrs Figg si è rotta una gamba. Non può venire a prenderli” E così dicendo, indicò Civa ed Harry con un brusco cenno del capo.
Dudley spalancò la bocca inorridito, ma i cuori dei Gemelli balzarono di gioia. Ogni anno, per il compleanno di Dudley, i genitori portavano lui e un suo amico fuori per tutto il giorno, in giro per parchi, a fare scorpacciata di hamburger o al cinema. Ogni anno Civa ed Harry rimanevano con Mrs Figg, una vecchia signora mezza matta che viveva due traverse più avanti. I Gemelli detestavano quella casa. Puzzava di cavolo e Mrs Figg li costringeva a guardare le fotografie di tutti i gatti che aveva posseduto in vita sua.
“E ora che si fa?” chiese zia Petunia guardando furibonda Civa ed Harry come se fosse colpa loro. Harry e Civa sapevano che avrebbero dovuto dispiacersi per il fatto che Mrs Figg si fosse rotta una gamba, ma non gli fu facile quando venne loro in mente che ancora per un intero anno non sarebbero stati costretti a guardare tutti i Fuffi, le Palline, i Baffi e i Mascherini di questo mondo.
“Si potrebbe telefonare a Marge” suggerì zio Vernon.
Civa lo guardò inorridita prendendo la mano del fratello.
“Non dire sciocchezze , Vernon, lo sai che li detesta” disse zia Petunia, e la giovane si rilassò.
I Dursley parlavano spesso dei Gemelli in quel modo come se loro non fossero presenti o, piuttosto come se fossero qualcosa di molto sgradevole e non in grado di capirli, come una lumaca.
“Cosa ne dici di... come si chiama... la tua amica... Yvonne?”
“É in vacanza a Maiorca” rimbeccò zia Petunia.
“Potreste semplicemente lasciarci qui” azzardò Harry speranzoso – una volta tanto, avrebbero potuto guardare quel che volevano alla televisione o persino provare il computer di Dudley – e si beccò un’occhiataccia dalla sorella.
Zia Petunia fece una faccia come se avesse appena ingoiato un limone.
“Per trovare la casa in rovina quando torniamo?” ringhiò.
“Mica la facciamo saltare in aria” disse Harry, ma Civa, l’unica ad averlo ascoltato, gli pestò un piede.
“Forse potremmo portarli allo zoo...” disse zia Petunia lentamente “...e lasciarli in macchina...”.
“Non possono rimanere in macchina da soli. È nuova di zecca...”
Dudley cominciò a piangere forte. In realtà, non stava piangendo; erano anni che non piangeva sul serio, ma sapeva che se contorceva la faccia e si lagnava la madre gli avrebbe dato qualsiasi cosa lui avesse chiesto.
“Duddy tesorino caro, non piangere! Mammina non permetterà che quelli ti rovinino la festa!” esclamò stringendolo tra le braccia.
“N-non... voglio... che... vengano... pure loro!” gridò Dudley tra un finto singhiozzo e l’altro. “Loro rovinano sempre tutto!” E lanciò ai Gemelli un’occhiata malevola attraverso uno spiraglio tra le braccia della madre.
In quel preciso momento suonò il campanello: “Santo cielo, sono arrivati!” esclamò zia Petunia frenetica. E un attimo dopo, l’amico del cuore di Dudley, Piers Polkiss, entrò insieme alla madre. Piers era un ragazzo tutto pelle e ossa, con una faccia da topo. Era da lui che in genere immobilizzava le persone con le braccia dietro la schiena mentre Dudley li picchiava. Dudley smise all’istante di far finta di piangere.
Mezz’ora più tardi, i Gemelli che non riuscivano a credere a tanta fortuna, avevano preso posto sul sedile posteriore della macchina dei Dursley con Dudley e Piers, diretti allo zoo per la prima volta in vita loro. Lo zio e la zia non erano riusciti a inventarsi niente di diverso per loro, ma prima di uscire, zio Vernon li aveva presi da parte.
“Vi avverto” aveva detto loro piazzandoglisi davanti col suo faccione paonazzo a un millimetro dai loro nasi, “vi avverto una volta per tutte, ragazzini, niente cose strane, niente di niente, intesi? O resterete chiusi in quel ripostiglio fino a Natale”.
“Non faremo proprio niente” dissero Civa ed Harry, “lo promettiamo...”
Ma zio Vernon non gli credeva. Nessuno gli credeva mai.
Il fatto era che spesso intorno a loro accadevano fatti strani, e non serviva a niente dire ai Dursley che loro non centravano.
Ad esempio, una volta zia Petunia, stanca di veder tornare Harry dal barbiere come se non ci fosse stato affatto, aveva preso un paio di forbici da cucina e gli aveva tagliato i capelli talmente corti da lasciarlo quasi pelato, tranne che per la frangetta, che non aveva toccato per “nascondere quell’orribile cicatrice”. Dudley era scoppiato a ridere a crepapelle al vedere Harry così conciato, e i Gemelli avevano passato una notte insonne al pensiero di come sarebbe andata l’indomani a scuola, dove già tutti lo prendevano in giro per gli abiti sformati e gli occhiali tenuti insieme con lo scotch. Ma la mattina dopo, al risveglio, aveva trovato i capelli esattamente come erano prima che zia Petunia glieli avesse rapati. Per questo erano stati puniti entrambi, sebbene Harry avesse tentato di spiegare che non sapeva come mai fossero ricresciuti così in fretta, tentando allo stesso tempo di ignorare il sorrisetto inspiegabile sulle labbra della sorella.
Un’altra volta, la zia aveva cercato di infilare a forza a Civa un cappotto orribile – marrone fango sdrucito e rattoppato -. Ma più cercava di infilarglielo , più il cappotto si rimpiccioliva, fino a che avrebbe potuto andar bene a una marionetta, ma non certo a Civa. Zia Petunia aveva decretato che doveva essersi ritirato in lavatrice, e questa volta i Gemelli, con loro gran sollievo, non vennero puniti.
Ma quel giorno nulla sarebbe andato storto. E valeva persino la pena di trascorrere una giornata con Dudley e Piers, pur di passarla da qualche parte che non fosse la scuola, il ripostiglio, o il salotto puzzolente di cavolo di Mrs Figg.
Strada facendo, zio Vernon si lamentava con zia Petunia. A lui piaceva lamentarsi di tutto: i colleghi di lavori, i Gemelli, il consiglio, i Gemelli, la banca, i Gemelli erano solo alcuni dei suoi argomenti preferiti. Quella mattina aveva scelto di lamentarsi delle motociclette.
“...corrono come pazzi, questi giovani teppisti!” esclamò mentre una moto li sorpassava.
Civa, innamorata delle motociclette, fece un balzo sul sedile e si sporse un poco dal finestrino per seguirla con lo sguardo. Un inspiegabile velo di tristezza la fece singhiozzare.
“Io e Civa abbiamo fatto un sogno con una motocicletta volante” disse il fratello, senza notare la sorella.
Civa si voltò repentinamente per tacitarlo ma non fu abbastanza veloce. Per poco zio Vernon non tamponò la macchina che lo precedeva. Si girò di scatto e urlò ai Gemelli, con la faccia che somigliava a un enorme barbabietola coi baffi: “LE MOTOCICLETTE NON VOLANO!”
Dudley e Piers repressero una risata.

Era un sabato assolato, e lo zoo era pieno di famigliole. All’ingresso, i Dursley comperarono a Dudley e Piers due enormi gelati al cioccolato; e poi, dato che la sorridente barista aveva chiesto ai Gemelli cosa volessero prima che loro avessero potuto allontanarli, comprarono loro due economici ghiaccioli alla menta. E non era neanche male, pensarono Civa ed Harry leccandoli, mentre guardavano un gorilla che si grattava la testa e assomigliava terribilmente a Dudley.
Fu la mattina più felice che Civa ed Harry avessero avuto insieme da molto tempo. Ebbero cura di camminare a una certa distanza dai Dursley in modo che Dudley e Piers, che per l’ora di pranzo avevano già cominciato ad annoiarsi degli animali, non tornassero al loro passatempo preferito di prendere l’uno a pugni e l’altra a palpatine. Pranzarono al ristorante dello zoo e quando Dudley fece un capriccio perché la sua fetta di dolce non era abbastanza grande, zio Vernon gliene comperò un altro e a Civa ed Harry fu permesso di finire la prima.
In seguito Civa ed Harry si dissero che avrebbero dovuto sapere che era troppo bello per durare.
Dopo pranzo, andarono al serpentario, con gran gioia di Civa. Il luogo era fresco e semibuio, con vetrine illuminate lungo tutte le pareti. Dietro ai vetri, lucertole e serpenti di ogni specie strisciavano e si arrampicavano su tronchi di legno e sassi. Dudley e Piers volevano vedere i giganteschi e velenosi cobra e i grossi pitoni capaci di stritolare un uomo. Civa pareva entrata nel mondo delle fiabe, guardava i serpenti come rapita e seguiva i loro movimenti sinuosi con uno strano interesse. In un nano secondo individuò il serpente più grosso di tutti. Avrebbe potuto benissimo avvolgersi due volte attorno alla macchina di zio Vernon e ridurla alle dimensioni di un bidone per la spazzatura, ma al momento non sembrava in vena. Anzi, era profondamente addormentato. Dudley rimase con il naso spiaccicato contro il vetro, a contemplarne le spire smeraldine e lucenti. Civa era incantata.
“Fallo muovere” disse piagnucolando al padre. Zio Vernon picchiò sul vetro, con l’unico risultato di irritare Civa.
“Ancora!” ordinò Dudley. Zio Vernon tornò a bussare forte con le nocche sul vetro, ma il serpente continuò a ronfare e Civa emise un ringhio sommesso, irata.
“Che noia” disse Dudley con voce lagnosa. E corse via.
I Gemelli guardarono intensamente il serpente. Non si sarebbero stupiti se anche lui fosse morto di noia, senz’altra compagnia che quegli stupidi che tamburellavano tutto il giorno con le dita contro il vetro cercando di disturbarlo. Era peggio che avere per camere un ripostiglio, dove l’unico visitatore era zia Petunia che pestava sulla porta per svegliarti; loro, almeno, potevano girare per tutta la casa.
D’un tratto il serpente aprì gli occhi piccoli e luccicanti.
Lentamente, molto lentamente, sollevò la testa finché i suoi occhi non si trovarono all’altezza di quelli dei Gemelli.
Fece loro l’occhiolino.
Civa ed Harry lo fissarono stupiti. Poi diedero una rapida occhiata per vedere se qualcuno li osservava. Nessuno. Tornarono a fissare il serpente e ricambiarono la strizzatina d’occhi.
Il serpente girò la testa di scatto verso zio Vernon e Dudley, poi alzò gli occhi al cielo. Dette ai Gemelli un’occhiata che equivaleva a dire:
“Questo è quel che mi tocca sempre”
“Lo sappiamo” mormorarono i Gemelli di qua dal vetro, anche se non erano sicuri che il serpente potesse udirli. “Deve essere veramente fastidioso”.
Il serpente annuì.
“Da dove vieni?” chiesero Civa ed Harry.
Il serpente colpì con la coda un cartellino accanto al vetro.
Boa conscrictor, Brasile
“Era un bel posto?”
Il boa colpì di nuovo il cartellino e i ragazzi lessero ancora: questo esemplare è nato e cresciuto in cattività.
“Ah, non sei mai stato in Brasile”
Il serpente scosse la testa. In quello stesso momento un grido assordante alle spalle dei Gemelli li fece trasalire tutti e tre: “DUDLEY! MR DURSLEY! VENITE A VEDERE QUESTO SERPENTE! E’ INCREDIBILE QUEL CHE STA FACENDO!”
Dudley caracollò verso di loro più in fretta che poté.
“Fuori dai piedi, voi!” intimò mollando un pugno nelle costole a Harry. Lui, colto alla sprovvista, cadde a terra come un sacco e urtò Civa, che cadde a sua volta. Quel che seguì avvenne così in fretta che nessuno si rese conto del come: un attimo prima Piers e Dudley erano chini vicinissimi al vetro, un attimo dopo erano saltati all’indietro tra grida d’orrore.
Civa ed Harry si tirarono a sedere boccheggiando; il vetro della teca del boa era scomparso. Il grosso serpente stava svolgendo rapidamente le sue spire e scivolando sul pavimento, mentre in tutto il serpentario la gente si metteva a urlare e cominciò a correre verso le uscite.
Mentre scivolava loro accanto a tutta velocità, Civa ed Harry avrebbero giurato di aver udito una voce bassa e sibilante dire: “Brasile, aspettami che arrivo… Grrraciasssias, amigos!”
Il custode del serpentario era sotto shock.
“Ma il vetro…?” continuava a ripetere, “dove è finito il vetro?”
Il direttore dello zoo in persona preparò a zia Petunia una tazza di tè molto forte, e intanto non la finiva più di scusarsi.
Piers e Dudley non riuscivano a far altro che farfugliare. Per quel che avevano visto Civa ed Harry, il serpente non aveva fatto altro che dar loro un colpetto giocoso sui tacchi mentre passava, ma fecero appena in tempo a tornare tutti nella macchina di zio Vernon che già raccontavano come il boa gli aveva quasi staccato una gamba a morsi, mentre Piers giurava che aveva cercato di soffocarlo con la sua stretta mortale. Ma il peggio, per Civa ed Harry, fu che Piers riuscì a calmarsi quel tanto che li permise di dire: “Civa ed Harry gli hanno parlato. Non è vero, Civa, Harry?”.
Zio Vernon aspettò che Piers fosse uscito di casa prima di cominciare a prendersela con i Gemelli. Era così arrabbiato che parlava a stento. Riuscì a malapena a dire: “Andatevene… ripostiglio… rimanete lì… senza mangiare!” prima di crollare su una sedia, tanto che zia Petunia dovette correre a prendergli un grosso bicchiere di Brandy.
Molto più tardi, i ragazzi, stesi al buio nel loro ripostiglio, avrebbero desiderato avere un orologio. Non sapevano che ora fosse e non potevano rischiare di uscire per prendere qualcosa da mangiare se non erano sicuri che i Dursley fossero a letto.
Vivevano con i Dursley da quasi dieci anni, dieci anni d’infelicità, per quanto potevano ricordare, fin da quando erano piccoli e i loro genitori erano morti in quell’incidente d’auto. Non ricordavano di essere stati anche loro nell’auto al momento della loro morte. L’unica cosa che ricordavano era un lampo di luce verde e un dolore lancinante sulle fronte. Spesso Civa aveva dei flash-back molto stravaganti; ma non li raccontava mai al fratello, perché la turbavano alquanto e non riusciva a capire cosa significassero. L’unica cosa di quei flash-back che la confortava, era che per pochi istanti rivedeva i visi dei loro genitori… e quelli di persone che, in qualche modo, le erano care.
Quando erano più piccoli, i Gemelli avevano spesso sognato che qualche parente sconosciuto venisse a portarli via; ma non era mai accaduto. Eppure, talvolta sembrava loro – oppure era una speranza – che gli estranei per strada li riconoscessero. Ed erano degli estranei davvero molto strambi. Una volta, un ometto mingherlino con un cilindro viola fece loro l’inchino in un negozio. Un’altra volta, in autobus, un’anziana dall’aspetto stravagante li aveva salutati allegramente. Giorni prima, un uomo dalla pelle olivastra, con il naso adunco, i capelli neri lunghi fino alle spalle e gli occhi come carboni ardenti si era bloccato d’improvviso lungo Red Dragon Street e si era avvicinato a Civa scansando bruscamente la gente che passava. Aveva posato le mani sulle spalle della ragazza, si era chinato su di lei e l’aveva abbracciata. Poi era scappato via. Civa era rimasta a letto tre giorni, tanto quell’incontro l’aveva turbata.
A scuola non avevano amici, perché tutti sapevano che la ghenga di Dudley odiava i Gemelli Potter, e a nessuno andava di mettersi contro la ghenga di Dudley.
 
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view post Posted on 18/5/2010, 16:34

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Lettere da nessuno



La fuga del boa conscrictor brasiliano sarebbe costato ai Gemelli un castigo lunghissimo, se non fosse stato che Civa tanto disse e tanto fece che riuscirono a cavarsela con poco.
Non passò una settimana dal compleanno di Dudley, che il ragazzo aveva rotto la cinepresa, mandato a schiantare l’aereoplanino e investito Mrs Figg con la bici da corsa.
Civa ed Harry passavano gran parte del loro tempo fuori di casa, per evitare la ghenga di Dudley che, avendo terminato i compiti, si ritrovava tutti i giorni al n°4.
A settembre, sarebbero andati alle superiori e, per la prima volta in vita loro, non sarebbero stati con Dudley. Il cugino aveva un posto riservato a Snobkin, la scuola dove aveva studiato anche zio Vernon. Anche Piers sarebbe andato a Snobkin. Civa ed Harry, invece, sarebbero andati a Stonewall High, la scuola pubblica del quartiere. Dudley trovava la cosa molto divertente.
“Lo sapevate che a Stonewall High il primo giorno di scuola ti ficcano la testa nella tazza del gabinetto?” disse ai Gemelli. “Volete andare di sopra a fare esercizio?”.
“Grazie, no” risposero Civa ed Harry. “La povera tazza del gabinetto non si è mai vista cacciare dentro niente di più orribile della tua testa; potrebbe sentirsi male”. Poi scapparono via prima che Dudley potesse capire quello che avevano detto.
Qualche giorno dopo, zia Petunia accompagnò Dudley a Londra per comprare l’uniforme di Snobkin, lasciando i Gemelli da Mrs Figg. Quel giorno, la vecchia fu più sopportabile del solito. Si era rotta una gamba inciampando in uno dei suoi gatti, quindi non era più così entusiasta di loro. Diede a Civa ed Harry una fetta grossa fetta di torta al cioccolato a testa e permise loro di vedere la tv.
Quella sera, Dudley sfilò in soggiorno per la famiglia, indossando la nuova uniforme. I ragazzi di Snobkin indossavano una giacchetta color melanzana, pantaloni alla zuava arancioni e un copricapo piatto detto ‘paglietta’. Erano in oltre dotati di un bastone nodoso usato per picchiarsi a vicenda quando gli insegnanti non guardavano. Si riteneva che questo fosse un buon addestramento per la vita futura
Guardando Dudley nei nuovi pantaloni alla zuava, zio Vernon disse che non si era mai sentito così orgoglioso in vita sua. Zia Petunia scoppiò in lacrime e disse che non le sembrava vero che quello fosse il suo piccolino, da quanto era bello e cresciuto. I Gemelli non si arrischiarono a parlare. Avevano l’impressione di essersi rotti un paio di costole nel tentativo di non ridere.
La mattina dopo, quando Civa ed Harry entrarono in cucina, c’era un odore orribile che sembrava provenire da una bacinella di metallo che era dentro il lavandino. Si avvicinarono per dare un’occhiata. La bacinella era piena di quelli che sembravano stracci sporchi a mollo in acqua grigia.
“E questo cos’è?!” chiesero a zia Petunia. Lei strinse le labbra come faceva sempre quando Civa ed Harry azzardavano una domanda.
“La nuova uniforme di Harry. Tu li hai dei vestiti simili” rispose.
Harry e la sorella guardarono dentro la bacinella.
“Oh!” disse Harry. “Non avevo capito che dovesse essere tanto bagnata”
“Non fate gli sciocchi!” li apostrofò aspramente zia Petunia. “Ti sto tingendo di grigio alcuni vestiti smessi di Dudley. Quando avrò finito sembreranno uguali a quelli degli altri”.
Di questo i Gemelli dubitavano seriamente, ma pensarono che fosse meglio non discutere.
Si sedettero a tavola cercando di non immaginare che aspetto avrebbe avuto Harry il primo giorno di scuola a Stonewall High. Probabilmente, come se avesse addosso pezzi di pelle di un vecchio elefante.
Dudley picchiò il tavolo con il bastone di Snobkin, che ormai portava dappertutto.
In quel momento udirono lo scatto della cassetta delle lettere ed il lieve tonfo della posta che cadeva sullo zerbino.
“Vai a prendere la posta, Dudley” disse zio Vernon da dietro il giornale.
“Lascia stare, andiamo noi” fece Civa alzandosi e avviandosi con il fratello.
Sullo zerbino c’erano quattro cose: una fattura,una cartolina della sorella di zio Vernon, zia Marge, in vacanza nell’isola di Wight e… due lettere, una per i Gemelli e una per Civa.
I Gemelli le raccolsero e le fissarono con il cuore in gola. Nessuno aveva mai scritto loro. E chi avrebbe dovuto farlo? Non avevano amici; non avevano altri parenti; non erano neanche soci della biblioteca, quindi non avevano mai ricevuto perentori avvisi per restituire libri presi in prestito. Eppure, eccole lì, due lettere dall’indirizzo così inequivocabile da non poter essere frainteso:
Mr Harry James Sirius e Miss Civa Lily Aurora Potter;
Ripostiglio del sottoscala
4, Privet Drive
Little Whinging,
Surry

E:
Lady Civa Lily Aurora Potter (1°M. d. M.);
Ripostiglio del sottoscala
4, Privet Drive
Little Whinging,
Surry

La prima busta era spessa e pesante, in pergamena giallastra, e l’indirizzo era scritto in inchiostro verde.
La seconda, leggera e sottile, era in pergamena rosa chiaro e scritta in inchiostro appena più scuro. Aveva un dolce profumo di rosa.
Entrambe non avevano francobolli; girandole con mani tremanti, notarono che erano sigillate con della ceralacca su cui era stato impresso uno stemma bizzarro: un leone, un serpente, un’aquila e un tasso intorno ad una grossa H.
“Allora, sbrigatevi un po’!” gridò zio Vernon dalla cucina . “Che cosa state facendo? Controllate se c’è una bomba nella posta?” e ridacchiò alla propria battuta.
“Magari!” sussurrò Civa tra i denti mentre lei e il fratello rientravano in cucina, sempre fissando le lettere.
Consegnarono a zio Vernon la fattura e la cartolina, si sedettero e cominciarono lentamente ad aprire le buste.
Zio Vernon strappò la busta della fattura, sbuffò disgustato e voltò la cartolina.
“Marge sta male” informò zia Petunia. “Ha mangiato uno strano frutto di mare…”
“Papà…” disse d’un tratto Dudley. “Civa e Harry hanno ricevuto qualcosa!”.
I Gemelli stavano per aprire le lettere, quando queste vennero loro strappate di mano da zio Vernon.
“Sono nostre!” dissero i Gemelli cercando di riprenderle.
“E chi mai vi scriverebbe?” sibilò zio Vernon scuotendo la lettera giallastra con la mano per aprirla e gettandovi un’occhiata. In men che non si dica, la sua faccia cambiò dal rosso al verde più rapido di un semaforo.
Ma non finì lì , in pochi secondi divenne di un color bianco grigiastro come semolino rancido.
“P… Petunia!” ansimò.
Dudley cercò di carpirgli la lettera per leggerla, ma zio Vernon le teneva entrambe in alto, fuori dalla sua portata. Per sua sfortuna, Civa era più agile di una gazzella e con un balzo strappò la lettera gialla dalle mani dello zio. Purtroppo, zia Petunia l’afferrò e la carta si strappò. Civa ringhiò mentre zia Petunia lanciava nella spazzatura i resti della busta gialla, tendendo al marito la lettera che conteneva e, incuriosita, leggeva la prima riga di quella giallastra. Per un attimo, sembrò che stesse per svenire. Si portò le mani alla gola ed emise un suono soffocato.
“Vernon, mio Dio… Vernon…!”
Si fissarono l’un l’altra, parevano aver dimenticato che Dudley e i Gemelli erano ancora lì. Dudley non era abituato ad essere ignorato. Assestò un colpo secco sulla testa del padre con il bastone di Snobkin.
“Voglio leggere anch’io!” disse forte.
“Oh! Ma chi sei tu? Sono nostre, noi dobbiamo leggerle!” esclamò Civa indignata.
“Fuori tutti e tre!” gridò zio Vernon prendendoli per i vestiti e scaraventandoli nell’ingresso; poi sbatté loro la porta in faccia.
Harry e Dudley ingaggiarono una furibonda lotta per decidere chi dovesse guardare dal buco della serratura.
Civa tirò loro uno scappellotto sulla nuca e disse perentoria: “Lì ci sto io, voi per terra!”.
I due ragazzi obbedirono senza obbiettare.
“Vernon” stava dicendo zia Petunia con voce roca. “Guarda gli indirizzi… come sanno che dormono nel ripostiglio? Pensi che ci stiano sorvegliando?”.
“Sorvegliando… spiando, forse ci pedinano!”borbottò zio Vernon fuori di sé.
“Dobbiamo rispondergli? Dirgli che non vogliamo?”
“No- non servirebbe…” esclamò Civa aprendo di scatto la porta con una spinta decisa.
Le girava la testa e si dovette appoggiare alla credenza per reggersi in piedi.
Richiuse lentamente la porta e avanzò barcollando verso gli zii, una mano alla tempia.
“Datemi quella lettera, avanti!” ordinò loro tendendo la mano.
Quelli non si mossero, fissandola interdetti.
“Datemi quella maledettissima lettera!” gridò Civa infervorata. “Sono dieci anni che lotto contro quest’accidenti di amnesia! Non ho la benché minima intenzione di fermarmi ora che sono ad un passo dal capire, dal ricordare chi erano mamma e papà!” la sua voce tremava di pianto e lacrime di rabbia le riempivano gli occhi.
Strappò la lettera rosa dalle mani di zio Vernon e lesse.
“Allora è così…” sussurrò lasciando cadere a terra il foglio e crollando in ginocchio.
Un flash: un uomo affascinante dai capelli corvini e la pelle olivastra stringeva tra le braccia una bimba di appena un anno che ne dimostrava tre. Piangevano di gioia e il loro abbraccio era caldo d’amore.
Fu scossa da un conato di vomito mentre un secondo flash-back la colpiva con inaudita violenza: un uomo con i capelli castani striati di grigio nonostante la giovane età, sul viso aveva i segni di vecchie cicatrici e un sorriso dolcissimo mentre cullava teneramente una piccina dai ricci d’ebano che stringeva un grosso rubino a goccia tra le manine e sfregava allegra il visino contro il suo petto.
“Ce lo avete nascosto per tutto questo tempo?” sussurrò tornando a fatica alla realtà e guardando irata i Dursley. “Bene, voi non rispondete, ignorateli, ma sappiate che loro non si arrenderanno, continueranno a spedire le lettere e manderanno qualcuno a cercarci! Lo faranno perché… c’è qualcuno, tra loro… qualcuno che prova amore e affetto per me e mio fratello. E questo non lo potrete mai cambiare!” gridò tra le lacrime.
“Continua ad illuderti, ragazzina, ma voi non ci andrete! E non osare dire qualcosa a tuo fratello, o saranno guai seri per tutti e due!” ringhiò zio Vernon sollevandola con la forza.
“Non ci sarà bisogno di dirgli nulla”disse Civa con un sorriso sprezzante tirando su col naso. “Presto scoprirà da solo la verità”.
Quella sera, tornato dal lavoro, zio Vernon fece una cosa che non aveva mai fatto prima: andò a trovare i Gemelli nel loro ripostiglio.
“Dove sono le nostre lettere? E cosa è successo a Civa? È tutto il giorno che sta male” disse Harry accarezzando il capo ella sorella, poggiato sulle sue ginocchia.
In effetti, Civa aveva passato l’intera mattinata a vomitare e il pomeriggio raggomitolata a letto con il capo in grembo al fratello.
“Non le è successo nulla e le lettere erano indirizzate a voi per sbaglio”disse zio Vernon. “Ho bruciato quella gialla e i resti dell’altra”.
“Non era uno sbaglio, gli indirizzi erano precisi alla lettera” replicò gelido Harry senza smettere di carezzare dolcemente il capo della sorella.
“SILENZIO!” intimò zio Vernon. Si costrinse a sorridere; la cosa parve costargli uno sforzo enorme. “Ehm… già, Civa, Harry… a proposito del ripostiglio. Con tua zia abbiamo pensato… siete davvero troppo grandi per starci dentro… sarebbe carino se vi trasferiste nella seconda camera da letto di Dudley”.
“Perché, credete che non ci troveranno più, così?” disse debolmente Civa con un sorrisetto sprezzante.
“Niente sciocchezze” la rimbeccò lo zio. “Prendete tutta la vostra roba e portatela di sopra”.
La casa dei Dursley aveva quattro camere da letto:una per i coniugi, una dove Dudley dormiva, una per gli ospiti e una dove il ragazzo teneva tutti i giocattoli e le cose che non entravano nella sua prima stanza.
Ai Gemelli bastò un viaggio per riporre i loro averi nella camera. Si sedettero sul letto e si guardarono intorno. Non c’era una cosa che fosse sana. La cinepresa vecchia di appena una settimana era buttata sopra una specie di camionetta con cui Dudley aveva investito il cane dei vicini; in un angolo c’era il primo televisore di Dudley, che aveva sfondato con un calcio quando avevano sospeso il suo programma preferito. L’unica cosa intatta erano i libri che Dudley odiava ed aveva disposto disordinatamente su di una mensola.
Da sotto giungevano le grida di Dudley: “Non ce li voglio… quella stanza mi serve… falli uscire!”
Civa ed Harry sospirarono e si stesero sul letto. Ieri avrebbero dato qualsiasi cosa per essere lì, ma oggi avrebbero preferito tornare nel loro ripostiglio con entrambe le lettere.
L’indomani mattina, a colazione, tutti erano piuttosto taciturni.
Quando arrivò la posta, zio Vernon, che sembrava fare uno sforzo per essere carino con i Gemelli, mandò Dudley a prenderla. Lo udirono picchiare colpi a destra e a manca con il suo bastone lungo tutto il tragitto. Poi gridò: “C’è ne sono altre! Mr e Miss Potter cameretta, quattro Privet Drive… Lady Civa Lily Aurora Potter (1° M. d. M.) cameretta, quattro Privet Drive…”
Con un gridò strozzato, zio Vernon balzò dalla sedia e si precipitò nell’ingresso, con i Gemelli alle calcagna. Zio Vernon dovette lottare ed atterrare Dudley perché mollasse le lettere, il che fu reso difficile dal fatto che Civa ed Harry lo avevano afferrato per il collo, da dietro. Dopo qualche minuto di grande confusione, zio Vernon si raddrizzò annaspando per riprendere fiato, le due lettere strette in pugno.
“In camera!” ordinò ai Gemelli. “E tu fuori Dudley!”.
I Gemelli misurarono a grandi passi la loro stanza. Civa era di nuovo debolissima e si dovette stendere per riprendere le forze. Faticava a respirare e aveva la testa che scoppiava.
*Devo ricordare... devo ricordare...* continuava a pensare, tentando di afferrare i piccoli sprazzi confusi del passato che le solleticavano la mente.
Le Difese stavano cedendo, troppa pressione, troppo potere...
E fu allora che, come se avesse acceso un immaginario schermo, le immagini della sua vera vita sgorgarono come lava nella sua mente indebolita e stanca. Emise un gemito. Harry accorse e le strinse la mano, fece per parlare ma poi vide i suoi occhi. Erano velati, fissi al soffitto, colmi di sorpresa...
Civa stava Ricordando!
Fa freddo. Un freddo che penetra nelle ossa. Civa è corsa via di casa senza nemmeno un giubbotto. Ha sette anni, il viso leggermente allungato,i lineamenti delicati. La sua pelle pallidissima scintilla alla luce; le guance sono accese di rosso fuoco dalle sferzate gelide del vento.
Per terra c’è la neve, bianca, brillante. Anche l’aria è cosparsa di fiocchi candidi che volteggiano in una danza arcana, lenta e ammaliante, per poi posarsi sull’ebano scuro dei suoi riccioli ormai fradici. Tutto è così puro, ammantato da questa coltre silenziosa che attutisce ogni rumore.
C’è tanta luce, ormai. Deve essere quasi metà mattina. Sono ore che cammina.
La piccola si ferma un attimo e si stringe nel golfino di lana leggera, tentando di scaldarsi. Harry le aveva detto di non andare, ma lei doveva farlo; non poteva fermarsi, altrimenti Silente le avrebbe di nuovo bloccato i ricordi e lei non voleva... non voleva dimenticare Severus, le poche ore che Silente concedeva loro per vedersi, le parole che le sussurrava...
Riprese a correre, sperando di scaldarsi, ma era bagnata fino al midollo e non si sentiva più le dita: né quelle delle mani né quelle dei piedini fradici racchiusi dalle ciabattine di peluche rosa.
Tossisce.
Oh, Severus la sgriderà, eccome se la sgriderà! Non solo ha disubbidito, ma si sta pure ammalando... ma ne vale la pena: piuttosto che perdere di nuovo il ricordo dei loro istanti, preferisce sopportare qualsiasi ramanzina, qualsiasi pozione cattiva.
Ormai ha raggiunto i sobborghi di Londra, ma è ancora lontana dalla via che deve raggiungere.
“Devo farcela. Devo farcela” continua a ripetersi fra uno starnuto e un colpo di tosse.
La tempesta si fa più incalzante, l’aria diventa vento, la danza incubo. Ovunque si volti, Civa riesce a vedere solo neve. Bianco, immacolato mantello di neve che ricopre qualsiasi cosa: case, auto, siepi, cartelli.
Inciampa e finisce a faccia in giù nella gelida coltre. Tenta di alzarsi ma il vento la spinge più giù.
Tossisce ancora.
“Severus...”sussurra con la voce arrochita.
Si alza e affonda un passo alla volta nella neve. Non riesce a vedere nulla, ma sa che deve andare a vanti, continuare a camminare finché non vedrà la ciminiera scura e il fiume.
Le fa male tutto: braccia, mani, gambe, piedi, viso. Il vento le gela addosso la neve e i vestiti fradici; la testa le scoppia di dolore, tossisce di continuo e fatica a respirare.
“Severus...” pronunciano le sue labbra, ma il vento che fischia violento nelle sue orecchie le strappa quella parola pronunciata con la voce sempre più flebile.
Si spinge ancora avanti, sfidando la tormenta... poi si ferma. Ansima. Non sente più il proprio corpo. Il cuore batte veloce, come per fuggire dal suo petto. Le labbra si socchiudono un’ultima volta, in un disperato richiamo: “Severus...” ma non esce alcun suono.
Lentamente, la piccola si accascia nella neve, sferzata dalle raffiche insistenti, bagnata dai fiocchi della tormenta spietata.
***
Qualcuno grida. Un uomo. A Civa sembra di riconoscere la sua voce, ma è troppo stanca per associarla a un viso.
C’è caldo. Allora non è più in mezzo alla neve... o forse è stato un sogno? Forse non si è mai mossa di casa e a gridare è zio Vernon.
Tossisce forte. Le fa male il petto e non respira bene. No, non era un sogno... ma dove sta adesso?
L’uomo grida di nuovo e Civa si accorge che c’è qualcuno che gli risponde, un altro uomo. Anche la sua voce la conosce.
“Ti avevo detto di smetterla, vecchio pazzo!” sta urlando il primo uomo. Sembra infuriato. “È troppo grande per questi giochetti! Dovevi capire che non avrebbe più accettato!”
“Calmati, mio caro” risponde l’altro uomo, con la massima calma. “Civa sta bene e presto aprirà gli occhi. Non vedo perché disperarsi”.
Il primo uomo impreca.
*Parlano di me* realizza sorpresa Civa, tentando di respirare meglio.
“Per colpa tua ha rischiato la vita!” grida di nuovo il primo uomo. “Poteva morire in quella tempesta! Sarebbe morta perché tu non volevi scegliere se tenerla con noi o lasciarla con Harry!”
L’altro tenta di tranquillizzarlo, senza successo.
“No che non mi calmo, Albus!” grida. “Lei è tutto ciò per cui vivo, l’unico motivo per cui ho continuato a combattere! Lei mi ha dato la forza di resistere e di insistere prima ancora di nascere!”
In un secondo, udite quelle parole, Civa capisce perché quella voce le sembrasse tanto familiare.
*Severus!*
Vorrebbe aprire gli occhi, vorrebbe alzarsi e correre da lui. Ma non riesce. Il suo corpo non le risponde.
“Sarebbe morta se non avessi sentito la sua aura svanire!” grida Severus. “Se non fossi così legato a lei da essere in perenne contatto empatico l’avrei persa per sempre!”
La sua voce è intrisa di furia; traspira da ogni sillaba, ogni lettera. Ma c’è qualcos’altro...
“Se solo mi fossi accorto... se avessi capito cos’aveva in mente...”Ora non grida più. Nella sua voce c’è una nota che Civa ha imparato a riconoscere e a odiare: disprezzo per se stesso, profondo e radicato come un cancro nel cuore del suo Severus.
Vorrebbe parlare, vorrebbe dirgli che non era colpa sua quello che era successo, che era stata stupida a pensare di poter raggiungere Spinner’s End nel bel mezzo di una furiosa tempesta di neve, ma le sue labbra sono come incollate insieme.
*Severus!* urla nella propria mente, disperata.
“Anche Remus si sta colpevolizzando allo stesso modo” rispose calmo Silente. “Non serve a nulla odiarsi per quello che è accaduto: Civa è fatta così... se la colpa è di qualcuno, è mia. Avrei dovuto darti ascolto... ma non ho saputo rinunciare all’unica nipote che abbia mai avuto e che mai avrò”.
Ora è calato il silenzio, ma Civa sente il fermento nella mente di Severus, lo sente nella propria testa, nel proprio cuore. Sente l’odio puro che prova per se stesso; il tormento di uomo che ha perso tutto; il disprezzo per non aver saputo rinunciare in principio al sentimento che prova per lei...
E all’improvviso sente di nuovo il proprio corpo. Sente il sangue che fluisce nelle vene, il dolore degli arti intirizziti che stanno riprendendo vita e finalmente riesce ad aprire gli occhi.
Nello stesso istante, Severus alza lo sguardo incredulo su di lei e i loro occhi si incontrano mentre le labbra si aprono all’unisono.
“Civa!” “Severus!”
La sua voce è poco più di un roco sussurro, quella di Severus un urlo colmo di tutte le emozioni possibili: amore infinito, gioia, sollievo. Non c’è traccia dell’odio che Civa ha percepito nei suoi pensieri.
L’uomo si precipita da lei e la solleva tra le braccia stringendola fino a farle quasi male.
“Ho creduto di averti persa per sempre” confessa in un sussurro appena udibile.
“Non avrei mai potuto andarmene lasciando che tu e quell’idiota di Remus vi prendeste tutte le colpe” mormora la bambina.
Tossisce.
Lui l’allontana un po’ e la osserva preoccupato.
La adagia delicatamente sul letto che Civa ora ha riconosciuto come quello su cui spesso restavano ore a guardarsi, nei sotterranei di Hogwarts, e comincia a tastare delicatamente la sua gola, le braccia, i polpacci, le ginocchia... si ferma. Le sfiora delicatamente il viso.
“Come sta?” chiede Silente avvicinandosi.
Severus non stacca gli occhi dalle chiazze rosse sulle gambe di Civa.
“Il principio di congelamento è passato, la gola si è sgonfiata, ma potrebbe aver preso la polmonite” risponde facendola sedere e toccandole la schiena.
Le sue mani sono calde sulla pelle nuda della piccola e danno sollievo al gelo che sente ancora in corpo.
“Dove sono i miei vestiti?” chiede Civa piegando lievemente il capo di lato.
È di un’innocenza annientante, la pura innocenza e il candore infinito dei bambini.
Severus la fissa incapace di parlare, lo sguardo perso tra i segni rossi che chiazzano la pelle della bambina lì dove il gelo l’ha aggredita più ferocemente. Aveva rischiato di morire...
“Niente polmonite”dice sollevato. “I polmoni sono liberi. La tosse passerà con un infuso”.
Le sorride e Civa rivede l’amarezza che poco prima aveva invaso la sua mente; i suoi occhi scuri sono incendiati di amore per lei e disprezzo per se stesso.
Silente scivola fuori dalla stanza in silenzio.
Piton si alza e prende degli abiti e della biancheria dall’armadio dove tiene le cose di Civa e la veste sfiorando lievemente la pelle vellutata.
“Ecco, la mia principessa è pronta” La prende in braccio e la porta vicino al camino.
Sul fuoco è sospeso un calderone d’oro in cui bolle una pozione dal profumo vanigliato: la Dolce Vanilla che Civa adora.
Immerge il mestolo nella pozione, se l’avvicina alle labbra e soffia per farla raffreddare; poi la versa tra le labbra socchiuse di Civa, che beve avidamente.
Severus torna verso il letto e si siede tenendola in braccio.
“Lo sai che ho fatto l’errore più grande della mia vita?” le sussurra guardandola con il tormento negli occhi.
Lei lo fissa con il suo sguardo di smeraldo, seria. Sembra più adulta di quello che in realtà non è.
“Avrei dovuto rinunciare a te quando ho capito che eri diventata l’unica cosa cui tenevo... quando ho compreso che ciò che sentivo per Lily era il legame che avrei avuto con te”.
Lei continua a fissarlo. È troppo difficile. Severus non può fare a meno di lei, è come una droga per lui. Più la guarda e più desidera perdersi in lei, nelle sue emozioni di bambina, vissute senza freni, nei suoi occhi verdi come le foglie d’estate che svelano i segreti del suo animo...
“Sono egoista” mormora a mezza voce, tentando di non farle udire quanto dolore sta provando. “Non riesco a rinunciare a te, nemmeno per un istante... sarebbe come rinunciare alle stelle o al mare o alle nuvole... come rinunciare a un pezzo del mio corpo. Rinunciare a una parte della mia anima”.
Il mare verde degli occhi di Civa è fisso nei suoi occhi, il visetto immobile.
“Perché non parli?!” esclama Severus disperato. “Perché non mi dici che mi odi, che sono un egoista insensibile e che non vuoi più vedermi?! Se tu lo dici, prometto che non ti importunerò più, darò le dimissioni e mi eclisserò in Alaska, così non dovrai nemmeno sopportarmi come professore...!”
“Stai zitto, cretino”dice semplicemente la bambina, imbronciata.
Perché diavolo non capiva che dicendo quelle cose la faceva star male?
Non ha mai provato tante emozioni tutte insieme. Desidera con tutto il cuore fargli capire che lei non vuole che lui rinunci al sentimento che li lega. Fargli capire che non le importa quale pericolo possa rappresentare per lei, basta che non la lasci nemmeno per un secondo.
Con lui si sente viva. Le braccia di un Mangiamorte e quelle di un Lupo Mannaro le danno più protezione che quelle del premuroso nonno Albus.
“Ma...” cominciò Piton.
“Ti ho detto di stare zitto, altrimenti ti zittisco io” minacciò la piccola con il viso corrucciato.
E Severus non poté fare a meno di sorridere dell’immane tenerezza che gli faceva vedere un’espressione così adulta sul volto d’angelo di una bambina.
Se ripensava ai momenti che gli avevano cancellato il ricordo di come sorridere... anni e anni senza provare altro che odio e disprezzo per sé e per quello che faceva, mai un sorriso che non fosse il ghigno di un assassino... e poi un angelo gli aveva fatto tornare il sorriso con un semplice gesto. Aveva teso le braccia verso di lui e per magia il dolore di tutto il male che aveva fatto era stato sepolto, travolto e lui aveva sorriso di nuovo.
Ricorda ancora le facce sbalordite dei presenti, quando sorridendo aveva sollevato Civa dal lettino...
“Sono egoista” ripeté scuotendo il capo a occhi chiusi.
“Sappi, Severus Tobias Piton” disse la bambina fissandolo severamente, “che anche se tu decidessi di rinunciare a me per qualche sciocchezza del tipo ‘per il mio bene’ o ‘per proteggerti da me stesso’, la qui presente Civa Lily Aurora Potter non ti permetterà di allontanarti da lei di un solo passo”.
Severus la guardò confuso.
“Perché io non ho la minima intenzione di rinunciare a te, a costo di venirti a ripescare tra le fiamme dell’Ade”Non aveva mai visto tanta serietà sul volto di un bambino; nemmeno lui stesso era mai stato così serio e irremovibile.
“Sono troppo pericoloso per te!” insistette. “Io sono solo capace di distruggere tutto quello che tocco. Guarda cos’ho fatto a tua madre”La sua voce si incrina. È ancora convinto che sia colpa sua se Lily è morta.
“Sei uno stupido” sibila Civa riducendo gli occhioni verdi a fessure scintillanti. “Sai che in qualsiasi caso quel... mostro?...” esita nel pronunciare quella parola e, come riflesso condizionato, si porta una mano al petto per stringere un amuleto che non c’è più. “... ci avrebbe trovati. Il mio destino e la mia aura l’avrebbero attirato; come per te e per Remus anche per lui il sapore del mio cuore è come eroina per un drogato. Sono le tue parole Severus, ricordi? Quando sono venuta ad Azkaban rischiando farmi ammazzare da centinaia di Dissennatori per vederti e Remus si è precipitato a prendermi”.
Severus tace. La piccola ha ragione. Lei è come droga: se l’hai assaggiata non puoi più farne a meno. Se hai guardato una volta nei suoi occhi, in quelle pozze di smeraldo liquido, dovrai farlo per la vita. Ma se un drogato alla droga poteva dire no; un Predestinato non poteva chiudere le porte in viso al destino, anche se questo voleva dire rubare la vita di un angelo innocente.
Sospira e l’abbraccia.
Come sempre lei lo ha zittito. Che cosa può risponderle? Inutile arrampicarsi sugli specchi.
Posa per un secondo le labbra su quelle della bambina; poi le bacia la fronte.
“Quando sarà il momento decideremo” sussurra. “Ora resta con me. Silente verrà a prenderti per bloccarti i ricordi e non voglio sprecare un secondo del poco tempo che abbiamo”.
Lei si raggomitola serena tra le sue braccia. Vale la pena rinunciare per un po’ a quei ricordi se può restare ancora tra le braccia di Severus. Dopotutto, mancano solo quattro anni; poi nemmeno Silente potrà impedirle di compiere con Severus e Remus il proprio destino.

Civa tossì e si tirò a sedere di scatto, finendo dritta tra le braccia di Harry.
Lo guardò, la bocca semi aperta e gli occhi spalancati, ansimante.
“Cos’hai visto?” le chiese lui.
Ma lei non poteva dirglielo, lo sapeva, ora ricordava molto più di quanto si aspettasse. Aveva un blocco he le impediva di raccontare ciò che aveva visto, ciò che aveva Ricordato.
“Civa?” La voce di Harry era preoccupata.
Civa si rilassò lentamente.
“Ho Ricordato... ma non posso raccontarti cosa” sussurra. “Ricordi le storie di vampiri? Non possono pronunciare il nome di Dio, rimane loro serrato in gola. È la stessa cosa. Non posso, non ora... non ancora” Era mortificata e entusiasta allo stesso tempo.
Ora sapeva!
Harry sospirò e l’abbracciò stretta.
“Ciò che hai visto ti ha reso felice. Vuol dire che è qualcosa di bello. Quindi va bene, posso aspettare” le mormorò dolcemente.
La mente di Harry lavorava frenetica. Qualcuno sapeva che avevano traslocato dal ripostiglio e apparentemente sapeva che non avevano ricevuto le prime lettere. Questo significava che ci avrebbero riprovato? Se sì, avrebbero fatto in modo che non fallisse. Harry aveva un piano e lo espose a Civa, che assentì con un gran sorriso prima di addormentarsi.
Harry non capiva cosa le stesse succedendo, ma sapeva che la sorella era a conoscenza di un segreto che aveva ritrovato nella memoria a costo delle sue forze, un segreto che la rendeva immensamente felice. Per un attimo Harry vide i volti dei due uomini che Civa sognava frequentemente: che fossero loro il motivo di tanto entusiasmo? Aveva forse Ricordato chi erano? Le avevano scritto che sarebbero venuti a prenderli?
La mattina dopo, la sveglia suonò alle sei. I Gemelli la bloccarono subito e si vestirono senza far rumore. Non dovevano svegliare i Dursley. Sgattaiolarono giù per le scale senza accendere la luce. Avrebbero atteso il postino all’angolo di Privet Drive per farsi consegnare la posta del numero quattro. I cuori battevano forte mentre attraversavano l’ingresso diretti alla porta.
“Fermo!” bisbigliò d’un tratto Civa fermandosi e tentando di bloccare il fratello.
Troppo tardi.
“Aaaaaaaaargh!” Harry fece un salto: aveva inciampato in qualcosa di grosso e flaccido steso sullo zerbino… una cosa viva!
Di sorpresa si accesero le luci e, con grande orrore dei Gemelli, si resero conto che la cosa in cui Harry aveva inciampato era la faccia di zio Vernon.
Aveva dormito lì in un sacco a pelo, per impedire ai Gemelli di fare ciò che stavano tentando di fare.
Sbraitò contro di loro per mezzora; poi ordinò loro di preparargli una tazza di te. Civa ed Harry si trascinarono tristemente in cucina ed al loro ritorno la posta era arrivata sulle ginocchia di zio Vernon. Videro tre lettere gialle e tre rosa ma non fecero in tempo ad aprire bocca che zio Vernon le aveva ridotte a brandelli.
Quel giorno lo zio non andò al lavoro; rimase a casa e sigillò la buca delle lettere.
“Vedi, ” disse a zia Petunia con una manciata di chiodi in bocca. “se non possono consegnarle, ci rinunceranno e basta”.
“Non credo che funzionerà, Vernon”.
“Le menti di questa gente lavorano in modo strano, Petunia; mica come te e me!” disse lui cercando di battere un chiodo con la fetta di torta alla frutta che gli aveva portato zia Petunia.
“Non si arrenderanno” disse debolmente Civa mentre saliva le scale traballando per andare in camera a stendersi sul letto. Nonostante la debolezza, su suo viso era impresso il sorriso trionfante con cui si era addormentata.
Harry la seguì portando cioccolata calda e torta sacher per rimetterla in forze.
Il giorno dopo arrivarono non meno di dodici lettere gialle e dodici rosa; poiché non potevano passare dalla buca delle lettere, erano state infilate sotto la porta, nelle fessure laterali e alcune addirittura dalla finestrella del bagno a piano terra.
Zio Vernon rimase di nuovo a casa. Dopo aver bruciato tutte le lettere, tirò fuori chiodi e martello e sigillò tutte le fessure della porta sul davanti e di quella sul retro cosicché non si poteva più uscire. Mentre lavorava canticchiava un allegretto e trasaliva ad ogni minimo rumore.
Sabato le cose cominciarono a sfuggire di mano. Arrivarono ventiquattro lettere per i Gemelli e ventiquattro solo per Civa, nascoste in ciascuna delle quattro dozzine di uova che zia Petunia aveva preso dal lattaio, perplesso, attraverso la finestra del soggiorno. Mentre zio Vernon faceva telefonate inferocite alla latteria e all’ufficio postale, zia Petunia, in cucina, sminuzzava le lettere con il frullatore.
“Ma chi diavolo è che ha tanta urgenza di parlarvi?!” chiese Dudley sbalordito ai Gemelli.
Harry lo ignorò: Civa stava svenendo e lui doveva portarla di sopra prima che cedesse del tutto.
Domenica mattina, zio Vernon si sedette in cucina a far colazione con aria stanca e sofferente, ma felice.
“Niente posta la domenica!” ricordò agli altri tutto contento, spalmando il giornale di marmellata d’arancia.
Civa scosse il capo esasperata togliendogli di mano il coltello e la marmellata e preparandogli il pane tostato.
“Grazie, Civa… oggi niente maledettissime lettere!”
Mentre pronunciava queste parole, qualcosa piovve con un fruscio dalla cappa del camino e lo colpì sulla nuca. Un attimo dopo, quaranta lettere rosa e quaranta gialle piombarono giù come una gragnola di proiettili. I Dursley le schivarono, ma Civa ed Harry fecero un balzo per cercare di afferrarle.
“Fuori! Fuori!”
Zio Vernon abbrancò i Gemelli all’altezza della vita e li scaraventò nell’ingresso. Una volta che zia Petunia e Dudley furono corsi fuori, coprendosi il viso con le braccia, zio Vernon sbatté la porta. Da fuori, sentirono ancora le lettere inondare la stanza, rimbalzando sulle pareti e sul pavimento.
“Questo è troppo!” disse zio Vernon tentando di parlare con calma e nel contempo stappandosi i baffi a ciuffi. “Vi voglio qui tra cinque minuti, pronti a partire. Ce ne andiamo. Prendete solo qualche abito. Niente discussioni”.
Aveva un’aria così minacciosa, coi baffi mancanti per metà, che nessuno osò contraddirlo. Dieci minuti dopo, si erano aperti un varco strappando le assi ed erano saliti in macchina, dirigendosi a tutta velocità verso l’autostrada.
Andarono. E poi continuarono ad andare. Neanche zia Petunia osava chiedere dove. Ogni tanto zio Vernon invertiva la marcia e per un po' procedeva nella direzione opposta.
“Me li levo di torno, vedrai!” farfugliava.
Per tutto il giorno non si fermarono né per bere né per mangiare. Giunta l’ora di cena, Dudley ululava di disperazione. In vita sua non aveva mai passato una giornata più brutta. Aveva fame, si era perso cinque programmi tv e non aveva mai passato tanto tempo senza far saltare in aria qualche alieno sullo schermo del computer.
Finalmente zio Vernon si fermò in uno squallido albergo alla periferia di una città. Dudley, Civa ed Harry divisero una stanza a tre letti. Dudley cominciò subito a russare della grossa, ma i Gemelli rimasero a lungo svegli, seduti sul davanzale della finestra, a fissare i fari delle auto e a riflettere…
Una fortissima emicrania stava tormentando Civa da tutto il giorno, mentre molti fotogrammi passati si alternavano a velocità diverse. Avrebbe tanto voluto concentrarsi su qualche ricordo del uomo castano dal viso solcato di cicatrici, ma non aveva ancora recuperato le forze necessarie a uno sforzo simile.
Il lunedì, per colazione, mangiarono corn-flakes stantii e toast con pomodori in scatola. Avevano appena finito, quando la proprietaria dell’hotel si avvicinò al loro tavolo.
“Chiedo scusa, chi di voi sono Mr e Miss o Lady Potter?” chiese cortesemente. “Di là sul bancone ci sono circa due centinaia tra queste e queste” e così dicendo mostrò una lettera gialla e una rosa.
I Gemelli fecero per prendere la lettera, ma zio Vernon li colpì scansando loro le mani.
“Le prenderò io” disse zio Vernon alzandosi in fretta e seguendola fuori della sala.
“Non sarebbe meglio andarsene a casa, caro?” suggerì zia Petunia ore dopo, ma zio Vernon non sembrò sentirla.
Nessuno di loro sapeva cosa stesse cercando. Li condusse nel bel mezzo di una foresta, scese dall’auto, scosse il capo, risalì a bordo e ripartirono.
“Papà è ammattito, vero?” chiese Dudley alla madre verso sera. Zio Vernon aveva parcheggiato l’auto in riva al mare, li aveva chiusi dentro ed era scomparso.
Cominciò a piovere.
“È lunedì” disse Dudley. “Voglio vedere i cartoni”.
Civa aveva la nausea, e non per il mal d’auto, quindi era piuttosto intrattabile.
“Tappati la bocca o ti ci ficco il volante, Diddy!” abbaiò con voce rauca.
Lunedì. Questo ricordò qualcosa ai Gemelli. Se era davvero lunedì, allora l’indomani, martedì, sarebbe stato l’undicesimo compleanno di Civa e Harry. Naturalmente, i loro compleanni non erano mai stati quel che si dice divertenti: l’anno prima, i Dursley avevano regalato loro una gruccia appendiabiti e dei calzini smessi di zio Vernon. Tuttavia, undici anni non si compivano mica tutti i giorni.
Undici anni. Civa rivide l’ultimo fotogramma del suo ricordo: Severus la stringeva a sé e lei pensava che valeva la pena perdere per un po' i ricordi; tanto, di lì a quattro anni sarebbe stata pronta per il suo destino. E ora quei quattro anni erano passati... provò a concentrarsi e riuscì a intravedere un boccone del suo decimo compleanno. Non quello festeggiato dai Dursley, ma quello organizzato da Severus e Remus per lei, in riva a un lago in un parco dai colori meravigliosi. E riuscì a Ricordare un pizzico di quei momenti.
Estate. Il profumo della natura vibra nell’aria.
Remus l’ha portata in riva al lago, poco lontano da Severus.
La guarda. Il suo sguardo la percorre da capo a piedi e si sofferma sul viso dai lineamenti delicati, la pelle pallida e brillante, le gote infiammate.
“Stai diventando una donna” le dice guardandola con aria sognante.
“Lo sono già da un anno, ormai” precisa Civa.
Remus sorride, il suo solito sorriso triste.
“Non allargarti. Nemmeno sai come si fanno i bambini” la prende dolcemente in giro, scostandole da viso una ciocca ebano.
“Ne so quasi più di te e Sev messi insieme” risponde lei e Remus la guarda esterrefatto: per la prima volta, la voce di Civa non contiene solo la spensieratezza di una bambina... contiene anche la malizia di una giovane donna...

“Ah!” gemette la ragazza portandosi una mano alla testa dolorante.
Harry si voltò di scatto preoccupato.
Civa sorrise, cosa che le costò parecchio. Aveva perso tutte le forze.
“Hai provato a ricordare, vero?” la rimproverò Harry. “Ecco, lo sapevo che dovevo distrarti. Non ti sei ancora ripresa, come potevi riuscire a pescare di nuovo un ricordo completo?!”
Zia Petunia e Dudley li ignoravano.
“Ne ho pescato un quarto... vorrei solo sapere come va a finire, aveva preso una piega interessante” disse lei respirando a fatica.
“Sei uno straccio” disse Harry. “Miseriaccia, un po' di pazienza no eh? Ora chissà quando ti riprendi” .
La prese tra le braccia e se la strinse al petto.
“Ti voglio bene sorellina”.
“Anche io, fratellone”.
Zio Vernon era tornato, sorrideva. Portava un involto lungo e sottile.
“Ho trovato un posto ideale!” disse. “Venite tutti fuori!”
Fuori dall’auto faceva molto freddo. Zio Vernon stava indicando qualcosa al largo che somigliava ad un grosso scoglio. Appollaiata in cima allo scoglio c’era la catapecchia più miserabile che si possa immaginare. Una cosa era certa: là dentro di televisori non ce n’erano.
“Le previsioni per stasera annunciano tempesta!” disse allegro, battendo le mani. “Questo signore ha gentilmente acconsentito a prestarci la barca”.
Un vecchio sdentato venne verso di loro a passo lento, con un ghigno alquanto malvagio sulla faccia, indicando una vecchia barca a remi che ballonzolava sulle acque grigio ferro proprio sotto di loro.
“Ho già comprato un po' di provviste” disse zio Vernon. “Quindi tutti a bordo!”.
Sulla barca faceva un freddo cane. Spruzzi d’acqua gelida e gocce di pioggia gli scendevano per il collo e un vento glaciale gli frustava la faccia. Dopo quelle che sembravano ore raggiunsero lo scoglio dove zio Vernon, fra uno scivolone e una sdrucciolata, li guidò alla casetta diroccata.
L’interno era orribile, c’era un forte odore di alghe, attraverso le fessure tra le assi di legno il vento fischiava e il camino era umido e vuoto. C’erano solo due stanze.
Le provviste di zio Vernon si rivelarono essere un pacchetto di patatine a testa e cinque banane. Civa non mangiò nulla e lasciò la sua razione al fratello, rannicchiandosi in un angolo come un cucciolo sofferente.
Zio Vernon cercò di fare un fuoco con i pacchetti delle patatine vuoti; ma quelli si limitarono a fare un sacco di fumo e ad accartocciarsi.
“Adesso tornerebbe utile qualcuna di quelle lettere, eh?” fece tutto allegro.
Era di ottimo umore. Era chiaro che pensava che nessuno aveva la minima possibilità di raggiungerli per consegnare la posta, con la burrasca che c’era. In cuor suo, Harry fu d’accordo, anche se quel pensiero non lo rendeva allegro.
Il ragazzo si avvicinò alla sorella e la prese tra le braccia.
“Harry, questa è una notte magica” riuscì a soffiare la ragazza prima di addormentarsi, e sul suo viso brillava il sorriso d’enusiatica speranza che la illuminava dal sabato sera.
Al calar della notte, la tempesta annunciata esplose attorno a loro. La schiuma delle onde altissime schizzava sulle pareti della catapecchia ed il vento feroce faceva sbattere le imposte. Zia Petunia trovò alcune coperte muffe e arrangiò un letto per Dudley sul divano tutto roso dalle tarme. Lei e zio Vernon si sistemarono sul materasso bitorzoluto nella stanza accanto e Harry dovette rannicchiarsi abbracciato alla sorella nel loro angolino e ravvolgere entrambi in una coperta tutta sbrindellata.
La notte avanzava e la tempesta infuriava sempre più feroce. All undici Civa si svegliò e i Gemelli non riuscirono più a domire. Erano scossi dai brividi e si stringevano forte l’un l’altra. Il russare di Dudley era soffocato dal rumore cupo dei tuoni che cominciarono verso mezzanotte. Il quadrante luminoso dell’orologio di Dudley, che pendeva oltre il bordo del divano dal suo polso grassoccio, informò i due ragazzi che avrebbero compiuto undici anni di lì a dieci minuti. Restarono sdraiati a guardare il loro compleanno avvicinarsi ad ogni ticchettio, a chiedersi se i Dursley se ne sarebbero ricordati, domandandosi dove fosse adesso l’autore delle lettere.
Ancora cinque minuti. I giovani udirono qualcosa che scricchiolava all’interno della capanna. Harry sperò che il tetto non cadesse. Civa sorrise, aveva recuperato le forze. Quattro minuti. Forse, al ritorno, la casa di Privet Drive sarebbe stata talmente piena di lettere che in qualche modo sarebbero riusciti a rubarne qualcuna.
Tre minuti. Era il mare a produrre quegli strani scricchiolii sullo scoglio?
“Civa - due minuti - che cos’è questo rumore?” chiese telepaticamente Harry alla sorella.
“Shh!” rispose Civa sorridendo - un minuto -.
Trenta secondi… venti secondi… dieci… nove… otto… forse avrebbero svegliato Dudley soloper dargli fastidio… tre… due… uno…
BUM!!
Tutta la catapecchia fu scossa da un brivido e i Gemelli si misero a sedere, Harry di scatto, Civa con calma e tranquillità, fissando la porta. Fuori c’era qualcuno che bussava chiedendo di entrare.
 
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view post Posted on 23/5/2010, 18:06

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Il Custode delle Chiavi


BUM!!
Bussarono di nuovo. Dudley si svegliò di soprassalto.
“Dov’è il cannone?” chiese stupidamente.
Alle loro spalle si udì uno schianto e zio Vernon piombò nella stanza, in mano brandiva un fucile… ecco cosa c’era nell’involto!
La porta venne colpita con una tale forza che si staccò di netto dai cardini e atterò con uno schianto assordante sul pavimento.
Sulla soglia si stagliò un uomo gigantesco. Aveva il volto quasi nascosto da una lunga criniera scomposta e da una barba folta ed aggrovigliata, ma si distinguevano gli occhi, neri come scarafaggi sotto tutto quel pelame.
Il gigante sembrò farsi piccolo piccolo per entrare nella catapecchia, piegandosi in modo da sfiorare appena il soffitto con la testa. Poi si chinò, raccolse la porta e la rinfilò nei cardini. Di fuori, il rumore della tempesta si attutì un poco. Il gigante si voltò per guardarli uno a uno ed i suoi occhietti brillarono all’improvviso.
Un flash-back bloccò Civa contro il muro e Harry guardò impotente mentre la familiare espressione vuota e le pupille dilatate si impadroivano del viso della sorella.
Una fredda notte di novembre, un uomo dai lunghi capelli e la barba d’argento, occhi azzurri nascosti da occhialetti a mezzaluna e un sorriso rassicura la bimba dagli occhi di smeraldo sussurrandole all’orecchio che la condurrà con sé nelle settimane seguenti. La poggia sul gradino di casa Dursley con il fratellino e se ne va verso il gigante Hagrid e la donna che diventa gatto, Minerva Mc Granitt.
“Hagrid!” esclamò Civa in un sussurrò soffocato guardando esterrefatta il gigante che la fissava.
“Esatto, bimba, Silente aveva detto che avresti Ricordato” disse lui. “Tutto bene, passata la nausea?”.
Civa annuì deglutendo.
“Che si potrebbe avere una tazza di tè? È stato un viaggio per niente facile…”
Dudley giaceva sul divano pietrificato dal terrore.
“Muoviti, ciccione!” intimò l’omaccione.
Con uno squittio, Dudley corse a nascondersi dietro la madre, che per il terrore si era accucciata dietro a zio Vernon.
“Oh, allora, tutto bene?” fece l’uomo squadrando i Gemelli.
I Gemelli alzarono lo sguardo su quella faccia feroce tutta coperta di pelo incolto e videro di nuovo gli occhi lucidi come neri scarafaggi socchiudersi in un sorriso.
Civa deglutì ancora.
“La nausea è passata, grazie” disse con voce strozata.
“L’ultima volta che vi ho visto, eravate ancora due soldi di cacio. Ogni tanto Civa l’ho intravista, quando tornava al castello per uno o l’altro dei due principi azzurri” disse il gigante. “Avete preso dal vostro papà, ma gli occhi sono della mamma, il professore aveva ragione!”
Il cuore di Civa saltò qualche battito. Professore?.. Severus...
Zio Vernon emise uno strano rumore stridulo.
“Le ingiungo di uscire immediatamente, signore!” disse. “Questa è un effrazione bella e buona!”.
“Ma chiudi il becco, sciumunito di un Dursley!” esclamò il gigante; allungò una mano al di là del divano, strappò il fucile dalle braccia di zio Vernon e, dopo avergli fatto un nodo alla canna come fosse gomma, lo gettò in un angolo.
“Allora, Civa, Harry” disse l’omone voltando le spalle a Dudley, “buon compleanno! Ho una cosa per voi… mi sa che mi ci sono seduto sopra ad un certo punto, ma il sapore dovrebbe essere ancora buono”.
Da una tasca interna del pastrano nero estrasse due scatole leggermente schiacciate. I Gemelli le aprirono con dita tremanti.
Dentro c’erano due torte al cioccolato grosse e appiccicose, una con scritto “BUON COMPLEANNO HARRY” in glassa verde e una con scritto “BUON COMPLEANNO CIVA” in glassa rossa.
I ragazzi guardarono il gigante. Volevano ringraziare, ma le parole si persero prima di arrivare alle labbra, e quel che invece ne uscì fu : “Chi sei?”
Il gigante ridacchiò.
“Non te la senti di sforzarti ancora un po', principessina?” disse a Civa.
La ragazza lo fissò intensamente.
“Aspetta… Ru… Rubeus Hagrid, Custode delle Chiavi e dei Luoghi di… Hogwarts… non è forse così?” mormorò Civa incollando tra loro i frammenti di ricordi.
“Esatto, bimba” disse Hagrid annuendo con un sorriso. “Non ti sforzare troppo, però, ora avrai tempo per ricordare”.
Poi tese una mano enorme e strinse quelle tese dei Gemelli.
Lo sguardo gli cadde sul focolare vuoto e sbuffò. Si chinò sul caminetto; gli altri non poterono vedere cosa faceva, ma quando si ritrasse il fuoco scoppiettava, illuminando la stanza umida con un tenue bagliore. Civa ed Harry setirono il calore inondarli come se si fossero immersi in un bagno caldo. La nausea di Civa si attenuò.
Il gigante tornò a sedersi sul divano che cedette sotto il suo peso, e cominciò a tirar fuori dalle tasche del passtrano ogni sorta di oggetti: un bollitore di rame, un pacchetto di salsicce tutto molle, un attizziatoio, una teiera, alcune tazze sbeccate e un flacone pieno di liquido color ambra di cui bevve una sorsata prima di cominciare a fare il te. Ben presto la catapecchia fu piena dello sfrigolio e dell’odore di salsiccia. Nessuno disse una parola mentre il gigante si dava da fare, ma appena ebbe fatto scivolare dall’attizzatoio le prime sei salsicce, grasse, succulente e leggermente abbrustolite, Dudley diede segni d’irrequietezza.
Zio Vernon gli disse in tono aspro: “Non toccare niente di quel che ti da, Dudley”.
Il gigante ridacchiò.
“Quel ciccione di tuo figlio non ha bisogno d’ingrassare, Dursley, non ti preoccupare”.
Passò le salsicce ai Gemelli: i ragazzi erano talmente affamati che parve loro di non aver mai assaggiato niente di così squisito; intanto, non riuscirono a togliere gli occhi di dosso al gigante.
Infine, visto che nessuno si decideva a dare spiegazioni, Harry disse: “Scusa, ma ancora non ho capito chi sei”
Il gigante bevve un soorso di tè e si asciugò la bocca con il dorso della mano.
“Chiamatemi Hagrid” disse, “tutti mi chiamano così. E ho il piacere di informarti che sono il Custode delle Chiavi e dei Luoghi ad Hogwarts. Nauralmente saprrete tutto di Hogwarts”.
Harry guardò Civa interrogativo.
“È una scuola per ragazzi…” esitò. “…ragazzi speciali…”.
“Non riesco a capire” disse Harry.
Hagrid fece una faccia sbalordita.
“Harry non ha letto le lettere. Se io non avessi letto quella rosa, non avrei avuto la forza di abbattere le difese per Ricordare” si affrettò a dire Civa. “Mi spiace” aggiunse arrossendo.
“Ti spiace?” abbaiò Hagrid voltandosi verso i Dursley, che si ritrassero in un angolo buio. “È a loro che deve dispiacere! Sapevo che non vi venivano consegnate le lettere e che Civa ne aveva letta una per puro miracolo, ma che non sapeste nulla di Hogwarts! Non vi siete mai chiesti dove i vostri genitori hano imparato tutto quel po' po' di roba che sapevano?”.
“Tutto cosa?” chiese Harry prendendo la mano della sorella.
Civa lanciò un’occhiata a Hagrid.
“TUTTO COSA?” tuonò il gigante. “Aspettate un attimo”.
Balzò in piedi. Arrabbiato com’era, pareva riempire tutta la stanza. I Dursley si erano appiattiti contro la parete.
“Volete forse dirmi” ringhiò loro in faccia, “che questi ragazzi – questi ragazzi! – non sanno niente… di NIENTE?! Non sanno del nostro mondo, del loro mondo, del mondo dei loro genitori!”
“Quale mondo?” chiese Harry guardando Civa confuso.
Hagrid stava per esplodere e Civa si faceva piccola piccola.
“DURSLEY!” sbottò.
Zio Vernon, che si era fatto pallidissimo, biascicò qualcosa che suonò come un pio pio io… Hagrid fissò furibondo i Gemelli.
“Ma di vostra madre e vostro padre dovete sapere!” disse. “Insomma, sono famosi! Voi siete famosi!”.
“Come? Mamma e papà non erano mica famosi! O no?”
“Voi non sapete…non sapete…”
Civa cadde in ginocchio in preda alla nausea. Hagrid si passò una mano tra i capelli, fissando i Gemelli con aria incredula.
“Voi non sapete chi siete?”disse infine.
D’un tratto zio Vernon ritrovò la voce.
“La smetta! Le proibisco di dire qualsiasi cosa ai ragazzi!”
Anche un uomo più coraggioso di Vernon Dursley avrebbe stremato di paura sotto lo sguardo furibondo che gli lanciò il gigante. Quando Hagrid parlò, ogni sillaba era uno scoppio di rabbia.
“Non glielo hai mai detto? Non gli hai mai detto cosa c’era scritto nella lettera che Silente ha piazzato in mano a Civa? Guarda che la piccola era sveglia, se lo ricorda nel profondo! L’hai tenuta nascosta per tutti questi anni?”.
“Che cosa ci hai tenuto nascosto?” chiese Harry avido di sapere, osservando preoccupato la reazione di Civa.
“BASTA, GLIELO PROIBISCO!” gridò zio Vernon preso dal panico.
Zia Petunia emise un rantolo di terrore.
“Oh, andate un po' a quel paese, voi due!” ringhiò Civa con la voce roca. “Harry… siamo… sei un mago e io sono una strega…” si alzò in piedi a fatica, tremante.
Nella catapecchia piombò il silenzio. Si sentiva solo il frangersi delle onde e l’ululato del vento.
“Che cosa siamo noi?” chiese Harry senza fiato.
“Una strega e un mago, chiaro?” disse Hagrid tornando a sedersi sul divano che gemette e si afflosciò ancora di più. “Anzi, una strega e un mago con i fiocchi, direi, una volta studiato un pochetto. Con un papà e una mamma come i vostri cosa poteva venire fuori? Penso proprio che sia il momento di leggere le due lettere”.
Civa tese la mano tremante verso le due lettere, quella gialla e quella rosa, indirizzate a Mr e Miss/Lady Potter, catapecchia sullo scoglio, mare.
Tirarono fuori la lettera gialla e lessero:

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Direttore: Albus Silente


Cari Mr e Miss Potter,
siamo lieti di informarvi che siete stati ammessi ed avete quindi diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverete l’elenco dei libri di testo e del materiale occorrente.
I corsi avranno inizio il primo settembre. Restiamo in attesa della vostra risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p. v.
Con ossequi,
Minerva McGranitt
Vice-direttrice

Civa deglutì a fatica e con dita tremanti aprì la lettera rosa, leggendovi le già ben note parole che l’avevano tanto scossa giorni prima.
Bimba mia,
è arrivato finalmente il momento di tornare alle origini. Ora, presto, tornerai a casa.
Il due di agosto ti manderò a prendere e mi raggiungerai al Ministero della Magia: è ora che tu assuma il tuo incarico di Primo Ministro della Magia. Sarò al tuo fianco, non temere… E anche lui.
Non vedo l’ora di poterti riabbracciare, mi sei tanto mancata. E potremo parlare, così ricorderai, mia streghetta, ricorderai cosa hanno fatto i tuoi genitori pur di darvi salva la vita.
Con tutto il mio affetto,
Nonno Albus

Civa fu attraversata da un fremito e singhiozzò. Harry la strinse a sé, sentendo una ridda di domande che gli esplodeva in testa come un fuoco d’artificio, ma non sapeva da quale cominciare. Dopo alcuni minuti, balbettò:
“Che cosa significa che aspettano la nostra risposta via gufo? E cosa è il Primo Ministro della Magia?”.
“Per mille fulmini, avevo dimenticato!” disse Hagrid battendosi una mano sulla fronte, e dall’ennesima tasca del pastrano estrasse un gufo – vivo -, una lunga penna d’oca e un rotolo di pergamena consunta. Con la lingua tra i denti per lo sforzo, buttò giù un biglietto che i Gemelli lessero al contrario.
Caro Mr Silente,
ho consegnato le lettere hai Gemelli. Domani li porto a Diagon Alley. Qui il tempo è orribile.
La ‘bambina’, è cresciuta parecchio…
Hagrid

Poi arrotolò la pergamena, la porse al gufo che l’afferrò con il becco, direttosi verso la porta, lanciò il volatile nella bufera. Quindi tornò indietro e si sedette come se tutta quella faccenda fosse la cosa più normale del mondo.
Harry, rendendosi conto che la bocca gli pendeva aperta per lo stupore, si affrettò a richiuderla.
“Dove eravamo arrivati?” riprese Hagrid. “Ah, sì, il Primo Ministro della Magia è… il capo di Stato, diciamo, della Comunità Magica… come il loro Primo Ministro, ma più potente” fece indicando i Dursley.
Si avvicinò a Civa e le porse un distintivo dorato con incisa la sua carica di Ministro, lo stemma del Ministero e una P intrecciata a una C : le sue iniziali.
Civa lo prese con dita tremanti e se lo appuntò con cura sul petto.
Hagrid stava per riprendere a parlare, ma proprio in quel momento zio Vernon, ancora terreo in volto ma con espressione molto arrabbiata, si avvicinò al fuoco.
“Non ci andranno!” disse.
Hagrid grugnì e Civa si lasciò sfuggire una risatina sarcastica.
“Vorrei proprio vedere un Babbano della tua specie che ferma i Gemelli” disse Hagrid.
“Cosa che cosa?!” fece Civa spiazzata. “Babbano?”.
“Uno senza poteri magici” spiegò Hagrid. “Ed è davvero un peccato che siate finiti nella famiglia di Babbani peggio che abbia mai visto”.
“Quando li abbiamo presi abbiamo giurato di farla finita con queste stupidaggini” disse zio Vernon, “che gliel’avremmo fatta passare con le buone o con le cattive!”.
Civa non si trattenne più e scoppiò a ridere.
“Oh, sicuro. E lo spiegherai te a milioni di maghi e streghe che reclameranno il loro Ministro? Lo convinci tu Severus che non devo andare a Hogwarts? Fammi il piacere! E già tanto se non ti faccio sbranare da un grifone per averci tenuto nascosto tutti questo!” gridò.
“Lo sapevate?” esclamò Harry sbalordito. “E avete lasciato che Civa rimanesse nel tormento fino ad ora?!”.
“Sapevamo?” strillò zia Petunia. “Certo che sapevamo! Come avreste potuto sfuggire a questa maledizione, visto da che razza di famiglia vengo? Ricevetti la lettera in cui dicevano che gli dispiaceva, ma non potevano ammettermi perché ero una Maganò. I miei genitori erano così delusi… quando mia sorella sparì, inghiottita da quella… scuola… i miei parenti, tutti, presero ad ignorarmi. Lily di qua, Lily di là, guarda che brava è Lily…Ero l’unica ad essere contenta di non essere anormale come tutti loro!” s’interruppe per riprendere fiato e poi ricominciò a sbraitare. Sembrava che avesse atteso per anni il momento di sputare fuori tutto.
“Poi, a scuola, conobbe quel Potter. Scapparono insieme, si sposarono e nasceste voi, e naturalmente io sapevo che sareste stati identici a loro, altrettanto strampalati, altrettanto… anormali… e poi, se permettete, hanno avuto la brillante idea di saltare in aria, ed ecco che ci siete piombati tra capo e collo!”
Gli occhi di Civa erano bagnati di lacrime di rabbia.
"E voi che gridavate che erano morti in un incidente d’auto, punendomi ogni volta che vi contraddicevo…” sussurrò velenosa come un serpente.
“UN INCIDENTE D’AUTO?!” esclamò Hagrid adirato saltando su. “Come avrebbero potuto Lily e James Potter rimanere uccisi in un incidente d’auto? Ed è scandaloso che Civa ed Harry Potter ignorino la loro storia, quando non c’è moccioso nel nostro mondo che non conosca i loro nomi!”
“Ma perché?! Che cosa è successo?” gridò Harry esasperata dal vano tentativo di ricordare anche lui ciò che la sorella aveva ritrovato nella propria memoria.
L’ira svanì dal viso di Hagrid. D’un tratto, divenne ansioso.
“Questo non me l’aspettavo proprio!” disse con voce preoccupata. “Quando Silente mi ha detto che potevo avere qualche difficoltà a portarvi via, non avevo idea di quanto voi non sapeste. Oh, Civa, Harry, non so se sono la persona più giusta per dirvelo… ma qualcuno deve pure: non potete andare a Hogwarts senza sapere”
Lanciò un’occhiataccia ai Dursley.
“Beh, è meglio che sapete quel che posso dirvi io… Badate però che non posso raccontarvi tutto, perché è un gran mistero, grande assai”
Si sedette, fissò per qualche istante il fuoco, poi disse:
“Credo che tutto ha avuto inizio con… con una persona di nome… Ma è incredibile che non sappiate come si chiama: tutti nel nostro mondo lo conoscono!”
“Chi?”
“Beh, preferisco non nominarlo… tutti lo preferiscono…”
“Ma perché?”
“Per tutti i gargoyle, Harry, la gente è terrorizzata. Oh, povero me! Vedete, c’era questo mago…. Che poi ha… preso la via del male. Tutto il male che riuscite ad immaginare. Il peggio. Il peggio del peggio. Il suo nome era…”
Hagrid mosse la bocca ma non uscì nulla.
Civa ebbe un sussulto.
“Il suo nome era Voldemort, Lord Voldemort” sussurrò con uno strano tono. Se Harry non avesse saputo che era impossibile, avrebbe detto che era dolcezza.
Hagrid rabbrividì.
“Non ripeterlo più” disse. “Circa 20 anni fa, questo mago cominciò a mettersi in cerca di seguaci. E li trovò. Alcuni lo seguirono per paura, altri perché volevano un briciolo del suo potere: perché lui, di potere, ne stava conquistando molto. Tempi bui, senza sapere di chi potersi fidare, senza osare far amicizia con maghi e streghe sconosciuti… Sono successe cose terribili. Lui stava prendendo il sopravvento. Naturalmente, qualcuno tentò di fermarlo… e lui lo uccise. In un modo terribile. Uno dei pochi posti sicuri era Hogwarts…”
“… perché Voldemort teme Silente” disse Civa reggendosi al fratello.
Hagrid sussultò e la guardò.
“Esatto” disse scrutandola con attenzione. “Non osò impadronirsi della scuola, almeno non allora. Ora, e qui si arriva alla vostra mamma e al vostro papà, i migliori che io avessi conosciuto. Ai loro tempi, erano i primi della scuola. Il mistero è perché Voi Sapete Chi non ha tentato di portarli della sua parte… forse sapeva che erano troppo legati a Silente; forse pensava di riuscire a convincerli… forse voleva che si levavano dai piedi. Tutto quel che si sa; è che 10 anni fa, ad Halloween, spuntò nel villaggio dove vivevate voi. Avevate appena un anno e qualche mese. Entrò in casa e…”
D’un tratto Hagrid tirò fuori un fazzoletto tutto sporco e si soffiò il naso con il fragore di un corno da nebbia.
“Scusate” disse, “ma è così triste… triste davvero. La vostra mamma e il vostro papà erano le persone più carine che si possono immaginare… ma insomma… Voi Sapete Chi li uccise. E poi - questa è la cosa più misteriosa – cercò di uccidere voi piccini… ma non ci riuscì. Ecco perché le cicatrici. Un segno simile ti resta solo se sei toccato da qualcosa di potente e molto malvagio; perciò siete famosi. Nemmeno uno di quelli che lui decideva di uccidere sopravviveva, solo voi. E badate che ha ucciso maghi e streghe tra i migliori: i McKinnon, i Bones, i Prewett; e voi, che eravate soltanto due neonati, ce l’avete fatta”
Nella mente dei Gemelli accadde qualcosa di molto doloroso. Mentre il racconto di Hagrid giungeva alla fine, rividero il bagliore verde, accecante, più chiaramente di quanto non l’avessero mai visto; poi, tornò loro in mente anche qualcos’altro, per la prima volta in vita loro: due risate; una fredda e priva di gioia, crudele, l’altra stridula e divertita.
Hagrid li guardò con tristezza.
“Vi raccolsi tra le macerie della casa con le mie mani, su ordine di Silente. E vi ho portato da questi qua”
“Tutte balle!” esclamò zio Vernon. I Gemelli ebbero un sussulto: si erano scordati della presenza dei Dursley. Zio Vernon aveva tutta l’aia di aver recuperato il coraggio. Fissava Hagrid con odio e teneva i pugni stretti.
"E ora, state a sentire, ragazzi” disse adirato. “Mi sta bene he in voi ci sia qualcosa di strano, niente che non si possa guarire con una buona sculacciata… ma queste storie sui vostri genitori… e vero, erano strampalati, inutile negarlo, e a mio parere il mondo sta molto meglio senza di loro. Quel che gli è capitato, se lo sono cercato, a forza di frequentare tutti quei maghi… è accaduto proprio quello che avevo previsto, ho sempre saputo che avrebbero fatto una brutta fine”.
Ma in quello stesso istante, Hagrid balzò in piedi ed estrasse dal pastrano un ombrello rosa tutto contorto. Puntandolo contro zio Vernon come una spada, disse:
“Tia avverto, Dursley… ti avverto, un’altra parola e…”
All’idea di finire infilzato sul puntale dell’ombrello da un gigante barbuto, il coraggio di zio Vernon venne di nuovo meno. Si appiattì contro la parete e rimase in silenzio.
“Così va meglio” fece Hagrid col respiro affannoso, e si sedette di nuovo sul divano, che questa volta cedette definitivamente fino a toccare terra.
Intanto i Gemelli avevano un sacco di domande da porre.
“Ma che cosa è successo a Voldemort?” chiesero.
Di nuovo, Hagrid sussultò.
“Buona domanda, Civa, Harry. Scomparso. Svanito nel nulla la notte che tentò di uccidervi. È questo che vi ha reso famosi. Lui stava diventando sempre più forte, perché sparire?”.
“Alcuni dicono che è morto. Balle, secondo me…”
“Non era più abbastanza umano da morire, non così semplicemente” disse Civa guardando la parete senza però vederla davvero.
Aveva un viso davanti agli occhi vuoti, un viso tanto familiare eppure tanto sconosciuto. Un uomo che la guardava con un misto di paura, sgomento e desiderio. Nel profondo dei suoi occhi lesse l’amore che si stava impadronendo di lui. E al collo portava lo Smeraldo. Il Rubino tra le mani era tiepido mentre un lungo dito bianco le sfiorava la guancia…
Tornò alla realtà con le gote rigate di lacrime, stringendo le mani attorno a qualcosa d’invisibile.
“Secondo me, è ancora vivo, chissà dove, ma ha perso i suoi poteri ed è troppo debole per andare avanti. Molti che stavano con lui sono tornati dalla nostra parte, come uscendo da una trance. È successo qualcosa, in quella notte, qualcosa che non aveva previsto. Non so cosa, nessuno lo sa… ma c’è qualcosa, in voi, che lo ha sconfitto”.
Hagrid squadrava Civa sospettoso e preoccupato, senza capire cosa le stesse capitando, ignorando il perché di quelle lacrime e della nostalgia che vibrava nei suoi occhi.
Harry, reggendo la sorella, era certo che tutta quella faccenda fosse solo un grosso errore.
Come potevano loro essere una strega e un mago? Come poteva Civa essere il Primo Ministro della Magia? Come poteva essere, dopo 10 anni a farsi rincorrere da Dudley e subire le angherie dei Dursley? Come poteva essere che avessero sconfitto lo stregone più malvagio e potente della Terra e fossero finiti a farsi trattare come bambolotti?
“Hagrid, credo che tu ti sia sbagliato. È impossibile che noi due siamo una strega e un mago” disse tranquillamente.
Con sua grande sorpresa, Hagrid e Civa ridacchiarono.
“Non avete poteri magici, eh? Sentite un po': non vi è mai capitato di far succedere qualcosa; quando vi spaventano o vi fanno arrabbiare?”
Harry fissò il sorriso sul visetto della sorella. Ora che ci pensava… tutte le cose strane che mandavano gli zii fuori di testa succedevano sempre quando erano arrabbiati o avevano paura.
Tornarono a guardare Hagrid con un sorriso e si accorsero che il gigante lo ricambiava apertamente.
“Visto?” disse Hagrid. “Civa e Harry Potter non sono un mago e una strega? Aspettate e vedrete: presto sarete famosi, a Hogwarts”
Ma zio Vernon non era intenzionato a cedere senza dar battaglia.
“Mi pareva di aver detto che i ragazzi non ci vanno, in quel posto” sibilò. “Andranno a Stonewall High e dovranno ringraziarci. Ho letto tutte quelle lettere in cui chiedono un sacco di stupidaggini… Libri d’incantesimi, bacchette magiche…”
“Se loro vogliono andarsene, neanche un grosso Babbano come te riuscirà a fermarli” ringhiò Hagrid. “Impedire ai figli di Lily e James Potter di andare ad Hogwarts! Roba da pazzi! I loro nomi sono scritti da quando sono nati. Frequenteranno la migliore scuola di stregoneria e sortilegio del mondo. Sette anni laggiù e non si riconosceranno più neanche loro. Staranno insieme ai giovani della loro specie, tanto per cambiare, sotto il migliore direttore che Hogwarts abbia mai avuto…”
“Albus Silente” disse Civa con un sorriso tenero sulle labbra d’angelo.
“Io non intendo pagare perché un vecchio pazzo stravagante gli insegni qualche MAGIA!”urlò zio Vernon.
Civa annaspò, fissando a bocca spalancata lo zio: aveva superato il limite.
Hagrid aveva afferrato l’ombrello rosa e lo stava facendo roteare sopra la testa.
“MAI - INSULTARE - ALBUS - SILENTE - DAVANTI - A - ME!” tuonò.
Sferzando l’aria con l’ombrello lo puntò su Dudley.
Ci fu un lampo violetto, un rumore come un petardo e uno squittio acuto. Un attimo dopo, Dudley ballava con le mani serrate sul grasso deretano, ululando di dolore. Quando volse loro le spalle, i Gemelli videro compiaciuti un codino arricciato da maialetto che gli spuntava da un buco dei pantaloni.
Zio Vernon emise un ruggito. Spinti zia Petunia e Dudley nella stanza accanto, gettò un ultimo sguardo terrorizzato ad Hagrid e si sbatté la porta alle spalle.
Hagrid guardò Civa e Harry e si stropicciò la barba.
“Gradirei che non diceste nulla; a dirvela tutta un tempo frequentavo anche io la scuola, ma… sono stato espulso. Al terzo anno. Mi hanno anche spezzato la bacchetta a metà. Silente mi ha fatto rimanere come guardiacaccia. Grand uomo Silente”.
“Perché sei stato espulso?”
“Mi sa che si è fatto tardi e domani abbiamo un mucchio di cose da fare” disse Hagrid alzando la voce. “Dobbiamo arrivare in città, comprare i libri e tutto il resto… copritevi con questo”.
Si tolse il pastrano e lo gettò ai Gemelli.
 
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view post Posted on 31/5/2010, 15:14

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Diagon Alley


Il mattino dopo, Civa ed Harry si svegliarono di buon ora. Benché si rendessero conto che era giorno fatto, tennero gli occhi chiusi per un po'.
D’un tratto si udì bussare forte.
Civa si tirò a sedere stiracchiandosi. Harry la imitò.
La catapecchia era tutta illuminata dal sole, la bufera era passata; Hagrid, in carne e ossa, dormiva sul divano sfondato ed un gufo raspava con gli artigli alla finestra, tenendo un giornale nel becco.
“Il servizio di posta più rapido e affidabile del mondo” commentò Civa aprendo la finestra e lasciando entrare il gufetto.
Quello lasciò cadere il giornale su Hagrid; e poiché non si svegliava, cominciò a svolazzare sul pavimento beccando il suo soprabito.
“Hagrid!” dissero ad alta voce. "C’è un gufo”
“Pagatelo!” grugnì Hagrid dal divano.
“Dove sono i soldi?”
“Guardate nelle tasche”
Sembrava che il pastrano fosse fatto solo di tasche. Mazzi di chiavi, proiettili per fionda, gomitoli di spago… finalmente, i Gemelli estrassero un portamonete.
“Dategli cinque Zellini” disse il gigante con voce assonnata.
“Le monetine di bronzo, vero?” ricordò Civa prendendo cinque monetine e infilandole nella sacca appesa alla zampa del gufo.
Il volatile se ne andò sbattendo le ali e Civa si avvicinò al piatto con le salsicce avanzate.
Hagrid sbadigliò fragorosamente, si mise seduto e si stiracchiò.
“Meglio che andiamo, Civa, Harry, abbiamo un sacco di cose da fare, oggi: dobbiamo arrivare a Londra a fare gli acquisti della scuola. Ah, Civa, devi ricordare l’incantesimo di sdoppiamento. L’hai inventato tu stessa da bambina. Dovrai utilizzarlo per essere a Hogwarts e al Ministero contemporaneamente”
“Duplica Corpi!” rispose pronta Civa.
Al suo fianco comparve una sua copia perfetta.
Civa mosse appena la mano e la sosia scomparve.
Civa sorrise soddisfatta guardando le facce esterrefatte di Harry e Hagrid.
“Civa uno amnesia zero” scherzò la ragazza. “Quando mi concentro, a costo di un po' di forze ricordo addirittura interi episodi”.
Ad un certo punto, il palloncino che i Gemelli sentivano nel cuore tanto erano felici scoppiò.
“Noi non abbiamo soldi per comprare l’occorrente. E zio Vernon non caccerà un soldo. Come facciamo?” fece Harry
“No problem; pensate che i vostri genitori non vi abbiano lasciato nulla? Andremo prima alla Gringott, la banca dei maghi gestita dai folletti”.
“Foletti?” chiese Harry curioso.
“Sì… e bisogna essere matti per tentare una rapina alla Gringott, ve lo dico io. Con i folletti non si scherza. La Gringott è il secondo luogo più sicuro dopo Hogwarts. Ora che ci penso, alla Gringott ci devo andare comunque, per Silente. Ti spiegherà quando vi incontrerete, Civa… e mo’ andiamo!”
I Gemelli seguirono Hagrid fuori, sullo scoglio. Ora il cielo era terso ed il mare luccicava sotto il sole. La barca che zio Vernon aveva preso in affitto era ancora lì, piena d’acqua.
“Come hai fatto ad arrivare qui?” chiese Harry in cerca di un'altra imbarcazione.
“In volo” rispose il gigante.
I Gemelli lo guardarono sbalorditi.
“Sì, ma per tornare indietro useremo questa. Ora che sono con voi non posso fare magie”
Presero posto sulla barca. Ma i Gemelli continuavano a guardare Hagrid cercando di immaginarlo volare.
“Però che seccatura remare. Vi va di tenere la bocca chiusa a scuola?” disse Hagrid guardandoli in tralice.
“Ovvio”dissero in coro i Gemelli; che non vedevano l’ora di assistere ad un’altra magia.
Hagrid estrasse di nuovo l’ombrello rosa, lo batté due volte sul fianco della barca e partirono verso terra a tutta velocità.
“Perché ci sarebbe da essere matti a tentare una rapina alla Gringott?” chiese Harry.
“Magie, incantesimi” disse Hagrid sfogliando il giornale mentre parlava. “Dicono che a guardia delle camere blindate ci sono i draghi. Poi bisogna trovare la strada… vedete, la Gringott si trova centinaia di chilometri sotto Londra. Molto più della metro. Anche se riesci a mettere le mani su un bel gruzzolo, prima di rivedere la luce fai tempo a crepare di fame e di sete”.
Civa ed Harry continuavano a pensare a tutte queste cose mentre Hagrid leggeva il giornale, la Gazzetta del Profeta zio Vernon aveva loro insegnato che alla gente piace essere lasciata in pace quando legge il giornale, ma era molto difficile farlo, perché non si erano loro mai affollate in mente tante domande in tutta la vita.
“Oh cielo!” esclamò Civa indicando la prima pagina: c’era una sua foto. Doveva avere circa 4 o 5 anni.
“È l’articolo che parla della presentazione di domani, Civa” le disse Hagrid. “Il Ministero della Magia combina sempre guai, come al solito… speriamo che tu riesca a metterli al loro posto, bambina”
“Ma che cosa fa il Ministero?” chiese nervosamente Civa.
“Beh, il compito più importante è di non far sapere ai Babbani che in giro per il paese ci sono ancora maghi e streghe”.
"E perché?” chiese la giovane.
“Ma dai, Civa! Perché tutti sennò vogliono risolvere i loro problemi con la magia. No, è meglio che non ci immischiamo”.
In quel momento, la barca urtò dolcemente la banchina del porto. Hagrid ripiegò il giornale e tutti e tre risalirono la scaletta di pietra che portava sulla strada.
I passanti guardavano Hagrid con tanto d’occhi, mentre i tre attraversavano la cittadina diretti alla stazione. Civa ed Harry non sapevano dar loro torto: non solo era due volte più alto di un uomo normale, ma continuava ad additare cosa del tutto normali come i parchimetri, dicendo ad alta voce:
“Vedete, Civa, Harry? Questa è la roba che s’inventano i Babbani!”
“Hagrid” dissero i Gemelli ansimando un poco mentre correvano per tenergli dietro, “ci dicevi che alla Gringott ci sono i draghi?”.
“Beh, così dicono” rispose Hagrid. “Perbacco, mi piacerebbe tanto avere un drago”.
“Ah sì?”
“Lo desidero da quando ero piccolo… ecco, da questa parte”.
Avevano raggiunto la stazione. Il treno per Londra partiva di lì a cinque minuti.
Hagrid, che non capiva i ‘soldi Babbani’ , come li chiamava lui, diede le banconote a Harry perché comprasse i biglietti.
Sul treno la gente li scrutava più che mai. Hagrid occupava due posti a sedere e aveva preso a sferruzzare quello che sembrava un grosso tendone da circo giallo canarino.
“Avete ancora la lettera, Civa, Harry?” chiese mentre contava le maglie.
Civa si tolse della scollatura la busta di pergamena giallastra.
Hagrid deglutì.
“Bene” disse, “lì c’è un elenco di tutto quello che vi serve”
Civa spiegò un secondo foglio che la sera prima non avevano notato e lessero.
Uniforme:
 Tre completi da lavoro in tinta unita (nero);
 Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno;
 Un paio di guanti di protezione (pelle di drago o simili);
 Alcuni mantelli (neri con alamari d’argento)
N. B. tutti gli indumenti dovranno essere contrassegnati da una targhetta con il nome.
Libri di testo:
 Manuale degli incantesimi, volume primo. Miranda Gadula;
 Storia della Magia. Bathilda Bath;
 Teoria della magia, Adalbert Incant;
 Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti, Emeric Zott;
 Gli animali fantastici, dove trovarli, Newt Scamandro;
 Le forze Oscure, guida all’autoprotezione, Dante Tremante;
 Mille erbe e funghi magici. Phillyda Spore;
 Infusi e pozioni magiche, Arsenius Brodus…(Soave il tuo ricordo mi sfiora e presto mia sarai)
Altri accessori:
 1 bacchetta magica
 1 calderone in peltro, misura standard due
 1 set di provette in cristallo di rocca
 1 bilancia di ottone
Gli allievi potranno portare anche un gufo, oppure un gatto, oppure un rospo.
SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL 1°ANNO NON è CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.

Civa osservò la frase accanto al libro di Pozioni. Era scritta con una calligrafia diversa dal resto della lettera.
Chiuse gli occhi ed inspirò lentamente.
Aveva un pensiero fisso in testa, un unico desiderio: sentire di nuovo quella protezione tra le braccia di Severus... e pretendere qualcosa in più. Ora non era più bambina.
“Si può comprare tutto a Londra?” chiese Harry ad alta voce.
“Sì, se uno sa dove andare”.
Civa ed Harry non erano mai stati da soli a Londra. Per quanto fosse chiaro che Hagrid sapeva dove andare, era altrettanto ovvio che non era abituato a girare la città come un comune mortale.
Rimaneva incastrato nei tornelli della metro e si lamentava ad alta voce che i sedili delle vetture erano troppo piccoli e i treni troppo lenti.
“Non so proprio come facciano i Babbani a cavarsela senza magia” disse mentre si arrampicavano su una scala mobile sfasciata, che portava ad una strada brulicante di traffico e piena di negozi.
Hagrid era così grosso che riusciva facilmente a fendere la folla; quanto ai Gemelli, bastava che gli tenessero alle calcagna.
Passarono davanti a negozi di libri e musica, Fast Food e cinema, ma in nessuno pareva si vendessero bacchette magiche. Era una strada qualsiasi, piena di gente qualsiasi.
Possibile che sepolti sotto i loro piedi si nascondessero mucchi d’oro dei maghi? Possibile che esistessero negozi dove si vendevano libri di incantesimi e manici di scopa? Non poteva essere una burla monumentale architettata dai Dursley? Se Civa ed Harry non avessero saputo che i Dursley erano privi del benché minimo senso dell’umorismo ci avrebbero quasi creduto. Eppure, per quanto incredibile sembrasse loro tutto quel che Hagrid aveva raccontato fino a quel momento, Civa ed Harry non riuscivano a non fidarsi di lui.
Improvvisamente, Civa si bloccò con il cuore a zero. Erano in Red Dragon Street, davanti all’anonimo pub innanzi al quale, anni prima, lo sconosciuto aveva abbracciato Civa.
“Il Paiolo Magico” disse Civa in un sussurro, rivivendo le emozioni che aveva provato, sentendo di nuovo quel profumo…
“Sì, ma come lo sai?” chiese Hagrid guardandola.
Civa scosse il capo ed entrò, respirando a fatica.
Per essere un posto famoso, il Paiolo Magico era molto buio e dimesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. Un omino dal cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman, completamente calvo, che sembrava una noce di gomma. Il sordo brusio della conversazione si arrestò al loro ingresso. Sembrava che tutti conoscessero Hagrid; lo salutarono con un sorriso e il vecchio barista prese un bicchiere dicendo:
“Il solito, Hagrid?”.
Ma poi Civa uscì della penombra e tutti tacquero.
La giovane pareva brillare di luce propria, gli occhi scintillanti, le labbra brillanti di lipp-gloss, i ricci morbidi che ricadevano sulle spalle lasciate scoperte dall’abito corto, rosso scuro.
“Mi venisse un colpo…” sussurrò il barman Tom con un filo di voce. “Ma sono i Gemelli Potter! Quale onore!”
Uscì di corsa da dietro il bancone, si precipitò verso Civa ed Harry e fece il baciamano a Civa stringendo la mano al fratello.
“Bentornati, signori Potter, bentornati!”
Civa ed Harry non sapevano che cosa dire. Tutti li guardavano. Hagrid era raggiante.
Ci fu un grande tramestio di sedie e, subito dopo, Civa ed Harry si trovarono a stringere le mani a tutti i presenti.
“Sono Doris Crockford, Mr e Miss Potter. Non riesco a crederci, finalmente vi conosco!”.
“Sono così orgoglioso, Miss e Mr Potter, veramente orgoglioso”
“Ho sempre desiderato stringervi la mano… sono così agitato!”
“Oh, Miss e Mr Potter, non so dirvi quanto piacere mi fa conoscervi! Mi chiamo Dedalus Lux”
“Lei è il tipo che ci ha fatto l’inchino in un negozio” disse Harry.
“Se lo ricordano!” gridò l’omino guardando tutti a uno a uno. “Avete sentito? Si ricordano di me!”.
In quell’istante Civa vide un giovanotto dall’aria nervosa, con in capo un gran turbante color malva, farsi largo tra la folla. Istintivamente, si ritrasse.
“Professor Raptor!” disse Hagrid. “Civa, Harry, il professore sarà uno dei vostri insegnanti a Hogwarts”.
“P- P- Potter” balbettò il professor Raptor squadrando Civa e facendole il baciamano senza staccarle gli occhi di dosso.
Civa arrossì.
“N- n- non so d- d- dirvi qu- quanto s- sono felice di co- conoscervi”.
“Che tipo di magia insegna lei, professor Raptor?” chiesero i Gemelli.
“D- D- Difesa Co- contro le A- Arti O- Oscure” balbettò Raptor. “N- non c- che a v- voi se- serva, eh P- Potter?” e rise nervosamente. “Su suppongo che s- starete ri- ri- rifornendovi di tu- tutto qu- quello che vi s- serve, ve- vero?... Ci ve-vedremo do-domani, La- Lady Ci- Civa, si- siete be- be- bellissima!” e si allontanò.
Ci vollero almeno dieci minuti per liberarsi di tutti. Finalmente Hagrid riuscì a farsi udire al di sopra del cicaleccio.
“Ora dobbiamo andare… Un mucchio di acquisti da fare; sbrigatevi, Civa, Harry”.
Hagrid fece loro strada attraverso il bar; uscirono in un piccolo cortile circondato da un muro, dove non c’era altro che un bidone per la spazzatura e qualche erbaccia.
“Ve lo avevo detto, no? Ve lo dicevo che eravate famosi. Anche il professor Raptor tramava tutto quando ha fatto la vostra conoscenza… va bene che per lui tremare è normale”.
“Ma è sempre così nervoso? Mi ha fatto venire il panico!” disse Civa.
“Oh, sì! Povero diavolo. Una mente geniale. È stato benissimo fino a che ha studiato sui libri, ma poi si è preso un anno sabbatico per fare qualche esperienza sul campo. Dicono che nella Foresta Nera ha incontrato i vampiri e che c’è stata una brutta storia con una strega… da allora non è più lui. Lo spaventa la sua stessa materia… ma sembra che tu gli piaccia, Civetta…” fece con un pizzico di malizia.
“Sono una predestinata che rispetta il destino. Lui non centra” sentenziò la strega irremovibile. "E poi è troppo nevrotico” aggiunse arricciando il naso.
“Nah, non fa per te… ti vedo di più con il prof di Pozioni, misterioso barra inquietante, ma quello è di ghiaccio” commentò Hagrid prendendo il suo ombrello rosa.
“Il professore di Pozioni...” mormorò Civa fissando il muro sognante.
Di nuovo, la sua mente si riempì del viso dell’uomo dai capelli neri... Severus...
Vampiri? Streghe? Harry aveva mal di testa. Nel frattempo, Hagrid contava i mattoni sul muro dietro il bidone.
“Tre verticali… due orizzontali” bofonchiava. “Bene, state indietro”.
Batté sul muro tre volte con la punta dell’ombrello. Il mattone colpito vibrò, si contorse… al centro apparve un buco… si fece sempre più grande… e un attimo dopo si trovarono di fronte un arco abbastanza largo da far passare Hagrid. L’arco dava su una strada selciata tutta curve di cui non si vedeva la fine.
“Benvenuti a Diagon Alley” disse Hagrid.
Sorrise allo stupore dei Gemelli. Attraversarono l’arco. Civa ed Harry gettarono una rapida occhiata alle spalle e videro l’arco rimpicciolirsi, ridiventando un muro compatto.
Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni fuori dal negozio più vicino. Un’insegna diceva: ‘Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame, ottone, argento, oro e peltro. Autorimescolanti, pieghevoli’.
Civa barcollò, rivedendo velocemente il viso di Severus.
“Tutto bene?” chiese preoccupato Hagrid.
Civa schioccò la lingua e si allontanò dai calderoni, ansimando.
“Dovrete prenderne uno a testa, ma prima i soldi” disse Hagrid.
Harry avrebbe voluto avere 4 paia d’occhi, Civa perdere i suoi. Ogni cosa le provocava un doloroso scorcio dei suoi dolci incubi. I negozi, le cose esposte all’esterno, la gente ch faceva spese. Da un negozio buio con un insegna che diceva: ‘Emporio Gufo: gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni e civette bianche’, si udiva provenire un richiamo basso e soffocato. Molti giovani dell’età di Civa ed Harry schiacciavano il viso contro una vetrina dov’erano esposti dei manici i scopa, le Nimbus 2000. Alcuni negozi vendevano libri, altri telescopi e altri strumenti d’argento che i Gemelli non riconobbero; c’erano vetrine stipate di barili impilati, mucchi pericolanti di libri d’incantesimi, penne d’oca e rotoli di pergamena, bottiglie di pozioni… Civa si bloccò senza fiato, arpionando le grate che decoravano la parte bassa della vetrina con le manine. Fissava le pozioni, ma in realtà si stava aggrappando disperatamente a un’altra visione…
Quell’uomo, l’uomo dai capelli corvini dei suoi ricordi, era immerso nel fumo azzurrino di una pozione. Profumava d’incenso alla vaniglia. Civa agitò i pugnetti in aria, ridendo mentre osservava il suo lui preparare la pozione Dolce Vanilla che tanto le piaceva… ma si sforzò di fermarsi. Non doveva gettare le energie.
Sospirò e lasciò le sbarre di metallo, rassegnata, accarezzando con la mente quel nuovo spiraglio di passato.
“Tutto bene, sorellina?” le chiese piano Harry mentre lei gli si aggrappava respirando piano.
Annuì lentamente, le narici intrise di quel profumo alla vaniglia.
“Ecco la Gringott” disse Hagrid a un certo punto.
Erano giunti ad un edificio bianco come la neve che svettava sopra le piccole botteghe. Ritto in piedi, dietro un portale di bronzo brunito,con indosso un’uniforme scarlatta e dorata, c’era…
“Esatto, quello è un folletto” disse Hagrid tutto tranquillo, mentre salivano gli scalini di candida pietra diretti verso di lui.
Il folletto era più basso dei Gemelli di quasi tutta la testa. Aveva un viso dal colorito scuro e l’aria intelligente, una barba a punta e, come Civa ed Harry poterono notare, dita e piedi molto lunghi. S’inchinò al loro passaggio, guardando Civa con un misto di sorpresa e soggezione. Ora si trovavano di fronte una seconda porta, stavolta d’argento, su cui erano incise delle parole che Civa recitò chiudendo gli occhi, mentre un nuovo ricordo le accarezzava la mente:
“Straniero, entra, ma tieni in gran conto
Quel che ti spetta se sarai ingordo.
Perché chi prende ma non guadagna
Pagherà cara la magagna
Quindi se cerchi nel sotterraneo
Un tesoro che ti è estraneo
Ladro avvisato mezzo salvato
Più del tesoro non va cercato”
L’uomo dai capelli castani striati, Remus, un tenero sorriso, le legge una a una quelle parole, indicandole con una mano mentre con l’altra la regge amorevole.
Un nuovo sospiro mentre anche quella visione svaniva piano.
Hagrid e Harry la guardarono preoccupati mentre varcava elegantemente le porte argentee ed entrava nel salone marmoreo.
La seguirono.
Un centinaio di folletti seduti su alti scranni dietro un bancone scribacchiavano su grandi libri mastri, pesavano le monete su bilance di bronzo ed esaminavano pietre preziose con la lente. Le porte erano troppo numerose per poterle contare e altri folletti erano occupati a richiuderle per far entrare o uscire le persone.
Hagrid e i Gemelli si avvicinarono ad un folletto impegnato ad esaminare uno smeraldo.
Civa lo fissò intensamente e questi alzò il viso dalla pietra per perdersi nello smeraldo liquido degli occhi della giovane strega.
“Siamo venuti a ritirare qualche spicciolo” disse la ragazza mostrando una piccola chiave dorata dall’impugnatura elaborata.
Hagrid la guardò ammirato.
“Nemmeno mi ero accorto che non c’era più” commentò stupito.
L’ombra di un sorriso passò sulle labbra scarlatte e scintillanti.
Il folletto prese la chiave e la osservò.
“Bene, lady Potter” disse calmo. "C’è altro?” aggiunse.
Gli occhi di Civa scintillarono verso Hagrid mentre lui estraeva una lettera dal pastrano e la porgeva al folletto.
“Silente, camera blindata 713, lei sa cosa” disse solamente lanciandogli un’occhiata d’intesa. Poi guardò Civa. “Non qui, non ora. Ti spiegherà il Preside”.
Civa annuì.
Il folletto lesse attentamente la lettera.
“Molto bene” disse dandola a Civa che la fece sparire nella tasca dell’abito, “qualcuno vi accompagnerà in entrambe le camere blindate. Unci Unci!” chiamò.
Arrivò un folletto diverso. Hagrid, Civa ed Harry seguirono Unci Unci verso una delle porte d’uscita della sala.
“Che cosa è il lei sa cosa della camera blindata 713?” chiese Harry.
“Questo non te lo posso dire” rispose Hagrid con fare misterioso. "E nemmeno Civa, quando saprà. È una cosa segretissima. Faccende di Hogwarts. Silente mi ha dato fiducia. Non è nei miei compiti dirvelo”.
Unci Unci tenne la porta aperta per farli passare. Civa ed Harry, che si erano aspettati di vedere altro marmo restò sorpreso. Si trovarono in uno stretto passaggio di pietra, illuminato da torce.
Civa si resse al fratello con espressione vuota, ricordando…
“Bimba tieniti forte” le dice l’uomo dai capelli castani stringendola con entrambe le braccia.
La piccola si stringe forte a lui.
Siedono su di un carrello nel buio tunnel di pietra. Il folletto fa partire lo sgangherato mezzo e Civa grida stringendosi ancor di più a lui.
“Ho paua!” singhiozza.
“Shh, stai tranquilla, amore, siamo quasi arrivati” la rassicura lui baciandole i capelli morbidi.
Si fermano di fronte ad una piccola camera blindata e l’uomo la apre, reggendo Civa con l’altro braccio.
Nella stanza c’è poco oro, un gruzzoletto d’argento e un poco di bronzo…

Unci Unci fischiò e un carrello come quello della visione arrivò sferragliando verso di loro. Hagrid sollevò la ragazza preoccupato e la mise sul carrello. Salì e aiutò Harry. Partirono.
Da principio percorsero un dedalo di passaggi tortuosi. I Gemelli tentarono di tenere a mente: sinistra, destra, sinistra, bivio di mezzo, destra, sinistra, ma era impossibile. Il carrello sferragliante sembrava conoscere la strada da solo, perché Unci Unci non manovrava.
Ai Gemelli bruciavano gli occhi per ia dell’aria fredda che sferzava loro la faccia, ma li tennero ben aperti. Ad un certo punto, pensarono di aver visto una fiammata in fondo ad un passaggio e si girarono per vedere se era un drago, ma era troppo tardi: scesero ancora più giù, superando un lago sotterraneo dove, dal soffitto e dal pavimento, spuntavano enormi stalattiti e stalagmiti.
Il carrello si fermò accanto ad una porticina nel muro di comunicazione.
Unci Unci fece scattare la serratura della porta. Ne fuoriuscì una nube di fumo verde e, quando si fu dissipata, Civa ed Harry rimasero senza fiato. Dentro c’erano montagne di monete d’oro, cumuli d’argento e mucchi di piccoli Zellini di bronzo.
“Tutto vostro” disse Hagrid con un sorriso.
Incredibile.
I Dursley non dovevano saperne niente, altrimenti li avrebbero immediatamente costretti a dar loro tutto. Quanto si erano lamentati di quel che gli costava mantenerli? E pensare che sepolte nelle viscere di Londra c’era sempre stata una fortuna che apparteneva loro.
Hagrid li aiutò a raccogliere un po' di quel bendiddio in una borsa.
“Quelli d’oro sono Galeoni” spiegò. “Diciassette Falci d’argento fanno un Galeone e ventinove Zellini di bronzo fanno una Falce: facilissimo, no? Bene, questo dovrebbe bastare per un paio di trimestri” si rivolse a Unci Unci. “Per favore, la camera 713” disse.
Stavolta scesero ancora più giù. Ad ognuna delle strettissime curve l’aria si faceva più fredda. Oltrepassarono un burrone sotterraneo e Civa ed Harry si sporsero fuori per cercare di vederne il fondo, immerso nell’oscurità, ma Hagrid li tirò indietro con un ruggito.
La camera blindata 713 non aveva serratura.
“Vossignoria lady Potter, venite, vi prego” disse il folletto porgendole la mano.
Civa si avvicinò e posò la manina sulla porta e quella, semplicemente, scomparve.
“Se chiunque non sia lady Potter o Mr Silente dovesse tentare di aprirla, verrebbe risucchiato all’interno della porta” disse Unci Unci.
“Ogni quanto tempo controllate se dentro c’è qualcuno?” chiese Civa lisciandosi la gonna.
“Circa ogni 10 anni” rispose Unci Unci con un sorriso che pareva un ghigno.
Dentro quella camera blindata così protetta doveva esserci qualcosa di veramente straordinario, Harry ne era certo; così , si sporse avanti pieno di curiosità, aspettandosi di vedere come minimo gioielli favolosi, ma in un primo momento pensò che fosse vuota. Poi, notò, sul pavimento, una collana di rubini e oro, bellissima, e un pacchettino tutto sporco, avvolto in carta da pacchi. Hagrid prese la collana e la porse a Civa; poi raccolse il fagotto e lo ripose accuratamente nel suo pastrano. Harry non vedeva l’ora di sapere cosa ci fosse di tanto prezioso, ma sentiva che era meglio non chiedere.
Civa sfiorò la collana e guardò Hagrid incuriosita, ma tacque.
“Andiamo, su!”disse Hagrid.
Dopo la pazza corsa di ritorno, rimasero un poco ad a sbattere le palpebre, accecai dalla luce del sole. Anche se ora avevano una borsa zeppa di soldi, i Gemelli non sapevano da dove iniziare a fare i loro acquisti. Non avevano bisogno di sapere quanti Galeoni entravano in una sterlina per capire che disponevano di più denaro di quanto non ne avessero mai avuto in via loro: più di quanto non ne avesse mai avuto lo stesso Dudley.
“Potremmo andare per le uniformi e gli abiti” disse Hagrid accennando con la testa ad un negozio chiamato Madama McClan, abiti per tutte le occasioni. “Sentite, vi spiacerebbe se facessi un salto al Paiolo Magico a bere un cordiale? I carrelli della Gringott li detesto”. Aveva ancora l’aria un po' sbattuta, quindi i Gemelli entrarono da soli nel negozio di Madama McClan, con un certo nervosismo.
Madama McClan era una strega tarchiata, sorridente e tutta vestita di color malva.
“Hogwarts, cari?” chiese, poi vide il distintivo di Civa e s’inchinò profondamente. “Vi porto tutto l’occorrente per le divise e degli abiti per voi, lady Potter”.
“E... biancheria?” fece Civa imbarazzata.
Madama McClan sorrise.
“Ovvio, lady, la migliore lingerie francese e italiana”.
Nel retro del negozio, due ragazzini dai visi pallidi e appuntiti stavano ritti su due bassi sgabelli, mentre un’altra strega appuntava con gli spilli gli orli della mini gonna della ragazza e dei calzoni del giovane. Erano gemelli come Civa ed Harry. Madama McClan fece salire i Gemelli su due sgabelli vicino ai primi, infilò anche loro le vesti con un tocco di bacchetta e comincio ad appuntarli per farli della lunghezza giusta.
“Ciao” dissero i ragazzi. “Anche voi di Hogwarts?”
“Sì” risposero i Gemelli.
“Nostro padre, nel negozio qui accanto, ci sta comprando i libri e mia madre sta guardando gli ingredienti per Pozioni, un po' più avanti” dissero i ragazzi. Avevano una voce annoiata e strascicata. “Dopo li trascinerò via per andare a vedere le scope da corsa. Non capisco proprio perché noi del 1° anno non possiamo averne di personali. Pensiamo che costringeremo nostro padre a comprarcene un paio e a farle entrare di straforo…”.
Ai Gemelli ricordarono molto Dudley.
“Sapete, domani nostro padre conoscerà lady Potter, la Primo Ministro. Scommetto che sarà la mia ragazza, a Hogwarts, carina e di rango come è non può non mettersi con me” fece il ragazzo.
Civa arricciò il naso e schioccò la lingua mentre Madama McClan le sfilava l’ennesimo, splendido abito e gliene faceva indossare un altro.
“Sapete già in che dormitorio andrete a stare?” chiesero poi i due ragazzi.
“No” risposero i Gemelli.
“Beh, nessuno lo sa veramente fino a quando non si trova sul posto, non è vero? Ma noi sappiamo che saremo Serpeverde: tutta la nostra famiglia è stata lì”.
Civa schioccò di nuovo la lingua irritata, tentando di capire cosa le ricordasse la parola Serpeverde. Era sicura che centrassero Voldemort e Severus.
“Ehi, guardate quello!” dissero d’un tratto i gemelli biondi indicando con un cenno del capo la vetrina principale. Hagrid era lì, ritto in piedi, sorridendo ai Gemelli e indicando loro tre grossi gelati per fargli capire che non poteva entrare.
“Quello è Hagrid, è il guardiacaccia di Hogwarts” dissero Civa ed Harry.
Ogni attimo che passava, quei due stavano loro sempre meno simpatici.
*Non credo proprio che diventerò la sua ragazza!* pensò Civa stizzita rivolta al fratello.
Harry ridacchiò.
“Sì, è proprio così. Ho sentito dire che è una specie di selvaggio… vive in una capanna nel comprensorio della scuola. Ogni tanto si ubriaca, tenta di fare magie e appicca il fuoco al suo letto” dissero i biondini.
"A parer nostro è molto gentile” commentarono gelidamente Civa ed Harry.
“Davvero?” dissero i ragazzi con un lieve sogghigno. “Ma perché siete con lui? Dove sono i vostri genitori?”.
“Sono morti” tagliò corto Civa mentre Madama McClan le toglieva un altro abito e l’aiutava a scendere dallo sgabello.
“Oh, scusateci” dissero gli altri due, senza mostrare il minimo rincrescimento. “Ma erano come noi?”.
“Siamo Purosangue, se proprio vi interessa” disse Civa secca.
“Noi non pensiamo che dovrebbero permettere agli ‘altri’ di frequentare, non vi pare? Loro non sono come noi, non sono capaci i fare quello che facciamo noi. Pensate che alcuni, quando hanno ricevuto la lettera, non avevano mai neanche sentito parlare di Hogwarts. Secondo noi, dovrebbero limitare la frequenza alle sole più antiche famiglie di stregoni. A proposito, come vi chiamate di cognome?”
Civa sorrise e fece scintillare il distintivo appuntato sul petto.
“Potter!” disse con un ghigno mentre, dopo aver pagato, lei ed Harry uscivano del negozio.
Civa ed Harry gustarono in silenzio i due gelati comprati loro da Hagrid.
“Che c’è?” chiese Hagrid.
“Nulla” mentirono i Gemelli. Si fermarono per acquistare pergamene e penne d’oca. Civa ed Harry divennero di umore un po' più allegro quando trovarono una bottiglietta d’inchiostro che scriveva cambiando colore. Una volta fuori, Civa chiese, ricordando l’insegna di un negozio vista poco prima:
“Cosa è il Quidditch?”
“Per tutti i gargoyle, ragazzi, continuo a dimenticar quanto poco sapete…certo che… non conoscere il Quidditch…”
“Non farci sentire ancora più a disagio” lo pregarono Civa ed Harry, e gli raccontarono dei ragazzini pallidi incontrati nel negozio di Madama McClan.
“E hanno detto che ai ragazzi cresciuti in famiglie di Babbani non dovrebbe essere permesso di frequentare”.
“Ma voi non venite da una famiglia di Babbani. Se sapevano subito chi siete… conoscono i vostri nomi da quando sono nati, se i loro genitori sono gente che pratica la stregoneria… li avete visti al Paiolo Magico. In ogni caso, hanno un bel dire i ragazzi, alcuni tra i migliori erano gli unici dotati di poteri magici in una stirpe di Babbani… vostra madre aveva solo la sorella Maganò, ma alcuni la consideravano Mezza-Babbana”
“Allora, cosa è il Quidditch?”.
“È il nostro sport. È come…come il calcio Babbano: tutti seguono il Quidditch. Si gioca in aria, a cavallo di manici di scopa, con 4 palle… è difficile spiegare le regole”
“Hagrid, Serpeverde è una delle Case di Hogwarts, non è così?” chiese Civa con un filo di voce, lottando per cacciare la nebbia dai suoi ricordi.
“Sì, Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Tutti dicono che i Tassi sono dei mollaccioni, ma…”
“Scommetto che finisco a Tassorosso” disse Harry tristemente.
La mano di Civa salì automaticamente a stringere un medaglione che non c’era e le dita si chiusero sull’aria. La strega ringhiò.
“Meglio Tassi che finire a Serpeverde” disse Hagrid. “Tutti i maghi oscuri sono stati Serpeverde. Voi Sapete Chi era uno di loro”
“Voldemort a Hogwarts?”fece Harry sbalordito.
Osservò la sorella in preda alla sua furibonda lotta interiore. Tentava disperatamente di afferrare un ricordo che le sfuggiva come fumo impalpabile ma presente. Civa ringhiò stizzita pestando i piedi e sforzandosi con tutto il suo potere.
“Tanti anni fa…” rispose Hagrid guardando preoccupato Civa mentre ancora tentava di raggiungere il ricordo nebuloso che la ossessionava.
Comprarono i libri di testo per i Gemelli in un negozio chiamato Il Ghirigoro, dove gli scaffali erano stipati fino al soffitto di libri grossi come lastroni e rilegati in pelle; libri delle dimensioni di un francobollo foderati di seta; libri pieni di simboli strani e alcuni con le pagine bianche. Anche Dudley, che non leggeva mai nulla, avrebbe fatto pazzie per metterci le mani sopra.
Hagrid dovette trascinare via Civa dallo scaffale con i libri di Pozioni. La ragazza sembrava completamente persa e girava lo sguardo vitreo sui titoli spelacchiati dei grossi e polverosi volumi, di nuovo presa dalla lotta contro la nebbia e il buio che le trafiggevano la mente.
“Severus...” mormorò.
Poi notò un libro con una luna piena in copertina e...
“Dov’è Rem?” chiese la piccola,che non aveva più di quattro anni.
“Lo sai che non puoi stare con lui se c’è luna piena” le ricordò Silente.
“No importa! REM!” la bambina s’impuntò.
“No” rispose Silente irremovibile.
“Vado da sola!” ringhiò Civa e sparì.
La casa in cui viveva era molto spoglia e malmessa.
Civa trotterellò in camera da letto e si arrampicò sul letto. Si sedette sul petto di Lupin e tuffò il viso sul suo, riempiendolo di baci.
“Potrei farti del male” disse solo Lupin.
“Non dire le bugie” rispose Civa, e restò al suo fianco.

Cominciava a capire sempre di più. Sorrise.
“Ricordate che nel mondo Babbano solo Civa, in quanto Ministro, può usare la magia” si raccomandò Hagrid.
Il gigante non permise loro di acquistare un calderone d’oro massiccio - “Nella lista c’è scritto peltro” , ma comprarono due graziose bilance per pesare gli ingredienti di Pozioni. Civa aveva assunto un lieve colorito bianchiccio ch preoccupò notevolmente Harry; il quale le tenne compagnia in strada mentre Hagrid acquistava i telescopi pieghevoli in ottone. Non entrarono in farmacia, la sola vista delle vetrine fece svenire Civa e Harry dovette sostenerla finché Hagrid non fu di ritorno con gli ingredienti e la prese in braccio per non farla sforzare.
“Bimba, dimmi che hai” le disse il gigante cullandola mentre lei riprendeva un po' di colore.
“Nulla; mezzi ricordi, nebbiosi e sfuocati. Mi tormentano da tutto il giorno…” rispose la giovane debolmente mentre si dirigevano verso il negozio di animali, dove Hagrid aveva intenzione di comprare loro un regalo che fosse utile per la scuola.
Hagrid tacque ed entrò nel negozio con i due Gemelli.
Acquistò loro una civetta delle nevi, Edwige e li condusse verso l’ultimo negozio: Olivander, l’artigiano di bacchette magiche.
Bacchette magiche…i Gemelli non vedevano l’ora di possederne una.
Quest’ultimo negozio era angusto e sporco. Un’insegna a lettere d’oro scortecciate sopra la porta diceva: “Olivander: fabbricanti di bacchette dal 382 a. C.”. Nella vetrina polverosa, su un cuscino color porpora stinto, era esposta una sola bacchetta.
Un lieve scampanellio, proveniente dagli anfratti del negozio non meglio identificati, accolse il loro ingresso. Era un luogo molto piccolo, vuoto, tranne per una sedia dalle zampe esili su cui sedette Hagrid, nell’attesa. I Gemelli si sentivano strani, come se fossero entrati in una biblioteca privata. Si rimangiarono un mucchio di nuove domande che erano loro appena salite al cervello, e invece si misero ad osservare le migliaia di scatoline strette strette, impilate in bell’ordine fino al soffitto. Chissà perché sentivano un pizzicorino alla nuca. Persino a la polvere e il silenzio di quel luogo sembravano fremere di una segreta magia.
“Buon pomeriggio” disse una voce sommessa. I Gemelli sobbalzarono.
Avevano di fronte un uomo anziano con occhi grandi e scoloriti che illuminavano la penombra del negozio come due astri lunari.
“Salve” dissero i Gemelli imbarazzati.
“Ah, sì” disse l’uomo. “sì, sì, sì, sapevo che li avrei conosciuti presto, signori Potter”. Non era una domanda. “Hanno gli occhi di loro madre. Sembra ieri che venne qui a comperare la sua prima bacchetta magica. 10 pollici e un quarto, salice e ala di fata, flessibile. Una buona bacchetta per un lavoro d’incanto”.
Mr Olivander si avvicinò ai Gemelli. Questi ultimi avrebbero dato qualsiasi cosa pur di vedergli abbassare le palpebre. Quegli occhi d’argento facevano venir loro la pelle d’oca.
“Vostro padre, al contrario, preferì una bacchetta di mogano, con anima di zampa di coniglio triturata. Flessibile, undici pollici. Ottima per la Trasfigurazione. Be’, ho detto che la preferì… in realtà è la bacchetta a scegliere il mago, naturalmente”.
Mr Olivander si era fatto talmente vicino da toccare quasi il naso di Civa, che si vedeva riflessa negli occhi velati.
“Ed è qui che…”
Mr Olivander toccò con un dito lungo e bianco la cicatrice della strega.
“Mi spiace dire che sono stato io a vendere la becchetta che ha fatto questo” disse con un filo di voce. “Tredici pollici e mezzo, legno di tasso e anima di piuma di fenice. Sì, una bacchetta potente, molto potente, nelle mani sbagliate… Bene, se avessi saputo cosa sarebbe andata a fare il mondo…”
Scosse la testa e poi, con gran sollievo dei Gemelli, si accorse di Hagrid.
“Rubeus! Rubeus Hagrid! Che piacere rivederti! Quercia, sedici pollici, piuttosto flessibile; non era così?”
“Azzeccato, signore” rispose Hagrid.
“Una bella bacchetta quella. Ma suppongo che te l’abbiano spezzata a metà quando ti hanno espulso, vero?” chiese Mr Olivander, facendosi serio d’un tratto.
“Ehm…sì, signore, proprio così” rispose Hagrid spostando il peso del corpo da un piede all’altro. “Però conservo ancora le due metà” aggiunse vivacemente.
“Ma non le usi, vero?” chiese Mr Olivander con fare inquisitorio.
“Oh, no, signore” si affrettò a rispondere Hagrid. I Gemelli videro che, nel parlare, si stringeva forte forte al suo ombrello rosa.
“Ehm, vediamo” disse Mr Olivander lanciando ad Hagrid un’occhiata penetrante. “Allora, Mr e Lady Potter, vediamo un po'” tirò fuori dalla tasca un lungo metro da sarta con le tacche d’argento. “Qual è il braccio che usano per la bacchetta?”
“La mano destra, signore” risposero i Gemelli.
“Alzino il braccio. Così”. Misurò le braccia dei Gemelli dalla spalla alla punta delle dita, poi dal polso al gomito, dalla spalla a terra, dal ginocchio all’ascella e poi prese anche la circonferenza delle teste. E intanto diceva: “Ogni bacchetta costruita da Olivander ha un nucleo fatto con una potente sostanza magica. Peli di unicorno, piume di fenici, corde di cuore di drago. Esistono poche bacchette simili, e nessuna uguale. E naturalmente, non si ottengono mai buoni risultati con la bacchetta di un altro mago”
All’improvviso, i Gemelli si accorsero che il metro a nastro, che stava loro misurando la distanza tra le narici, stava facendo tutto da solo. Mr Olivander, infatti, volteggiava tra gli scaffali, tirando giù scatole.
“Può bastare così” disse, e il metro si afflosciò a terra. “Allora, signori Potter, provino queste. Faggio e corde di cuore di drago, nove pollici per Harry. Biancospino e polvere di zaffiro, 7 pollici e mezzo per Civa. Entrambe molto flessibili. Le prendano e le agitino in aria”.
I Gemelli presero le bacchette e, sentendosi due perfetti idioti, le agitarono debolmente, ma Mr Olivander gliele strappò quasi subito i mano.
“Acero e piume di fenice, sette pollici per Harry. Salice e gocce di rugiada, otto pollici e un quarto per Civa. Molto flessibili”
I Gemelli le provarono, ma ancora una volta non avevano fatto in tempo ad alzarle che Olivander strappò loro di mano anche quelle.
“No, no… ecco, ebano e peli di unicorno, otto pollici e mezzo, elastica per Harry. Quercia e lacrime di Kappa, nove pollici, rigida per Civa”.
I Gemelli provarono, provarono ancora. Non avevano idea di quel che Olivander stesse cercando. Le bacchette si stavano accumulando sul bancone, ma più Olivander ne tirava fuori dagli scaffali, più sembrava felice.
“Clienti difficili, eh? Niente paura, troveremo quelle che fanno per voi…” si fermò di colpo, annusando l’aria pregna del profumo di rosa che Civa aveva acquistato poco prima. “Mi chiedo se…”
Sparì qualche attimo tra gli scaffali e ne riemerse poco dopo, reggendo una scatoletta doppia e impolverata.
“Agrifoglio per Harry e legno di rosa per Civa. Stessa Anima, piume di coda di Fenice. Undici e nove pollici, elastiche”.
I Gemelli le presero in mano. Avvertirono un calore improvviso alle dita. Le alzarono sopra la testa, le abbassarono sferzando l’aria polverosa e due scie di scintille rosse e oro si sprigionarono dalle estremità come fuochi d’artificio. Hagrid gridò d’entusiasmo e batté le mani e Mr Olivander esclamò: “Bravi! Proprio così, molto bene… Bene, bene, bene… che strano… ma che cosa davvero strana…”
Mentre Civa infilava la propria bacchetta tra le pieghe del mantello che indossava, Mr Olivander ripose quella di Harry nella scatola e la avvolse in carta da pacchi sempre borbottando: “Ma che strano... davvero strano”.
“Scusi” fecero i Gemelli, “ma che cosa c’è di strano?”
“Ricordo una per una tutte le bacchette che ho venduto, signori Potter. Una per una. Si dà il caso che la Fenice le cui piume risiedono nello loro bacchette abbia dato un’altra piuma. Una, e basta. È curioso che loro, signori Potter, siano destinati a queste bacchette, quando la loro gemella gli ha inferto quelle cicatrici”.
I Gemelli deglutirono.
“Sì, tredici pollici e mezzo, legno di tasso. Curioso come accadano certe cose. È la bacchetta che sceglie il mago, lo ricordino. Credo che da loro dovremo aspettarci grandi cose. Dopotutto… Colui Che Non Deve Essere Nominato ha fatto grandi cose…terribili, certo, ma grandi”.
I Gemelli rabbrividirono. Non erano certi i trovare molto simpatico quel Mr Olivander. Pagarono sette Galeoni d’oro a testa per le lor bacchette e, mentre uscivano, Mr Olivander li salutò con un inchino da dentro il negozio.
Era ormai pomeriggio inoltrato e il sole era basso sull’orizzonte quando Hagrid e i Gemelli si misero sulla via del ritorno ripercorrendo Diagon Alley, riattraversarono il muro, fino al Paiolo Magico, ormai deserto. Lungo il tragitto i Gemelli non dissero una parola; non notarono nemmeno quanta gente li guardasse a bocca aperta, in metropolitana, carichi come erano di tutti quei pacchi dalle forme bizzarre, e con la civetta candida addormentata sulle ginocchia. Su per un’altra scala mobile, giù verso Paddington Station, i gemelli si resero conto di dove si trovavano soltanto quando Hagrid batté loro sulla spalla.
“Abbiamo tempo di mangiare un boccone prima che il vostro treno parte” disse.
Comprò loro due hamburger e si sedettero a mangiare su panchine di plastica. I Gemelli continuavano a guardarsi intorno. In un certo senso tutti aveva un’aria molto strana.
“Vi sentite bene, Civa, Harry? Siete molto zitti” disse Hagrid.
I gemelli non erano sicuri di riuscire a spiegarsi. Quello era stato il più bel compleanno della loro vita. Eppure… continuarono a mangiare tentando di trovare le parole.
“Tutti pensano che noi siamo speciali” dissero infine. “Tutte quelle persone al Paiolo Magico, il professor Raptor, Olivander… ma noi, di magia, non ne sappiamo niente. Come fanno ad aspettarsi grandi cose? Siamo famosi, ma non ricordiamo nemmeno il motivo per cui lo siamo. Non sappiamo cos’ è successo quando Vol… scusa… vogliamo dire, la notte in cui sono morti i nostri genitori”.
Hagrid si chinò verso di loro. Dietro la barba incolta e le folte sopracciglia faceva capolino un sorriso colmo di gentilezza.
“Non preoccupatevi, imparerete presto. A Hogwarts tutti i principianti sono uguali. Starete benone. Basta che siete voi stessi. Lo so che è dura. Voi siete dei prescelti, e questo fa sempre la vita difficile. Ma starete benissimo a Hogwarts… così è stato per me, e lo è ancora, davvero”.
Li aiutò a salire sul treno che li avrebbe riportati dai Dursley e porse loro una busta.
“Questi sono i vostri biglietti per Hogwarts” disse loro. “Primo settembre a King’s Cross…è tutti scritto sul biglietto. Se avete problemi con i Dursley, speditemi una lettera con la vostra civetta, lei saprà dove trovarmi… A presto, Civa, Harry”.
Il treno uscì dalla stazione. I gemelli avrebbero voluto seguire Hagrid con lo sguardo finché non l’avessero perso di vista; si alzarono in piedi sul sedile e schiacciarono i visi contro il finestrino, ma non fecero in tempo a battere le palpebre che Hagrid era sparito.
 
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view post Posted on 16/9/2010, 16:19

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Civa Lily Aurora Potter, 1° Ministro della Magia!
“Voglio che vada tu” dice Albus guardandolo intensamente con i vispi occhi azzurri.
“Tu non capisci” esclama esasperato Severus, il viso tra le mani tremanti.
“Cosa non capisco, Severus?” gli dice calmo Silente.
Severus lo guarda, il viso contratto dalla disperazione.
“Se la vedo di nuovo, non potrò più rinunciare ad amarla” sussurra con voce rotta. “E lei è innocente, non deve avere nulla a che fare con un criminale assassino...”
Silente è serio, le mani posate sui braccioli di uno scranno dorato. Il vecchio Preside fissa Severus attraverso gli occhialetti a mezzaluna; scruta il suo viso con attenzione e legge le emozioni che vi si susseguono: amore, dolore, disperazione, disprezzo per se stesso, desiderio intenso di rivederla.
“Hai pagato un prezzo abbastanza alto per le tue azioni: ogni giorno della tua vita sarai costretto a rivivere i momenti peggiori della tua esistenza nella memoria. Non punirti anche tu, privandoti dell’unica cosa che di ha dato la forza di dire basta”Le parole di Albus sono sagge.
Severus inspira lentamente, tenta di controllarsi. Non vuole piangere davanti a lui, non vuole che lo veda vulnerabile... umano...
Civa è la cosa più bella che gli sia mai capitata. È bella come un angelo, dolce, decisa, sensibile, innocente. Con lei ha passato attimi di pura gioia: ogni volta che l’ha tenuta in braccio, ogni volta che l’ha vista sorridere, ogni notte insonne passata a vegliarla mentre dormiva beata... eppure, Severus sa che deve rinunciare a tutto questo. Per il bene di Civa, per proteggerla. Lui è un mostro; colpe gravissime gravano sulla sua coscienza e costituisce per lei solo un pericolo, perché lui è una calamita di odio, disprezzo e malvagità. Non può permettersi di amarla.
Apre la bocca per rispondere a Silente che no, non ci sarebbe andato; anzi avrebbe dato le dimissioni, così che lei non l’avrebbe più nemmeno rivisto... ma in quel momento ode la Sua voce.
Si gira di scatto, ma nella stanza ci sono solo lui e Silente. Però lui l’ha sentita, com’è possibile? Sta forse cominciando a impazzire?
Ma eccola di nuovo: chiara, limpida, pura. È proprio la sua tintinnante voce da soprano, la voce angelica di Civa.
“Ma un drogato alla droga può dire no, invece un Predestinato non può chiudere la porta in viso al destino”.
Severus è colpito da quelle parole come da uno schiaffo. È sicuro di non averle mai pronunciate ad alta voce, eppure ora le sente dalla voce di Civa. Cosa accade?
“La Senti, vero, Severus?” chiede Silente sorridendo.
Lui lo fissa confuso.
“Civa ha ascoltato tutta la nostra conversazione” spiega il vecchio con la massima tranquillità. “È entrata in contatto con la tua anima in sogno, senza nemmeno rendersene conto. Le parole che hai udito le ha pronunciate nella propria mente: è ciò che vorrebbe dirti ora”.
Severus tace. Sa che Silente ha ragione. Quante volte aveva aperto il contatto empatico che lo legava a Civa, semplicemente per poter sentire le sue emozioni, la sua voce, i suoi pensieri?
“Come può essere riuscita a superare il Blocco?” chiede Severus in un sussurro.
Silente sorride.
“Civa è molto speciale, questo lo sai. Il mio Blocco ha ceduto spesso, lasciando filtrare i ricordi dei momenti più intensi che ha vissuto. Poi è riuscita a leggere la mia lettera. Le è bastato insistere un po'. Doveva riuscire a ricordare. Il sigillo si è sbriciolato letteralmente e Civa ha Ricordato”.
Una fitta attraversa il cuore ghiacciato di Severus. Se lei ha ricordato, come può rinunciare a rivederla, anche solo per un istante?
“Non puoi rinunciare a me” Ed ecco di nuovo la sua voce.
Quella voce così dolce, pervasa di supplica. Ogni parola affonda come una lama nel ghiaccio che ricopre il suo cuore e crea nuove crepe che si diffondono a ragnatela.
“Devo, Civa, devo! Perché non capisci che posso solo farti soffrire?” sussurra disperato tentando di non cedere.
No, non deve cedere, non ora. Lei è troppo importante, deve rinunciare a lei prima che sia troppo tardi...
“Non puoi abbandonarmi ora che ho più che mai bisogno di te” supplica ancora la voce.
Vorrebbe poter chiudere la porta che le consente di vedere la sua anima, impedirle di sentire i suoi pensieri, di farlo arrendere. Ma di nuovo la lama rovente di quelle parole affonda nel ghiaccio e quello si spacca in mille lucenti cristalli di vetro che feriscono a fondo il cuore di Severus. Ogni cristallo rappresenta ciò che perderà se rinuncerà a lei: il suo profumo, il suo calore, la sua voce, la sua pelle, il suo viso, la perfezione divina del suo corpo, lo smeraldo acceso degli occhi di bambina. Ogni cristallo gli provoca un dolore bruciante che si diffonde nel suo corpo come il fuoco di un incendio e recide ogni scintilla di determinazione.
Severus cade in ginocchio con il viso tra le mani e in un grido disperato pronuncia l’unico nome che può lenire il suo dolore: “Civa!”

Civa si svegliò di soprassalto, madida di sudore, ansimante, il viso rigato delle lacrime versate in sogno... ma non era un sogno. Aveva visto Severus. Lo aveva visto soffrire al pensiero di perderla e lo aveva costretto a cedere al destino di amarla.
Si alzò dal letto e sgusciò fuori dalla stanza. Corse in bagno e si svestì; aprì l’acqua della doccia e si rifugiò nell’abbraccio caldo del getto che avvolse il suo corpo. Si strofinò con cura, senza tralasciare nulla, lavò i lunghi boccoli d’ebano e li spruzzò di balsamo per renderli soffici e brillanti e uscì dalla doccia. Si spalmò sulla pelle una crema che sapeva di zucchero e si spruzzò essenza di menta e lavanda dietro le orecchie e sui polsi; poi corse in camera e si avvicinò cauta al letto dove il fratello era ancora avvolto nella nebbia dei sogni. Gli sorrise.
Senza far rumore, aprì un cassetto colmo di preziosa biancheria francese e ne tirò fuori un completino: reggiseno e baby-doll di raso blu notte, decorati di fili d’argento e pizzo candido, e un triangolo di raso e pizzo per la parte inferiore. L’indossò velocemente e aprì l’armadio.
In quel momento sentì il cuore farsi più caldo, l’euforia montare a mille. Severus era vicino, percepiva la sua ansia di rivederla sempre più intensamente.
Eccitatissima, prese l’abito blu dall’armadio e lo indossò in fretta e furia; poi calzò i sandali a tacco alto di listelli argentei e si infilò alcuni gioielli d’oro bianco e lapislazzuli.
La tempesta di emozioni si faceva sempre più forte: Severus era quasi arrivato.
Uscì dalla stanza e scese le scale, attenta a non produrre il minimo rumore. Raggiunto l’ingresso, si avvicinò alla porta e allungò la mano per prendere le chiavi... nello stesso istante, la serratura scattò con un piccolo click e la porta si aprì senza il minimo cigolio.
Civa rimase senza fiato, troppo emozionata per emettere anche il più piccolo suono. Sulla soglia illuminata dall’oro pallido dell’alba, un uomo dai capelli corvini rimase immobile a fissarla con il fuoco negli occhi. La sua pelle era olivastra, i capelli lunghi fino alle spalle spartiti in due bande attorno al viso affilato dai lineamenti severi, la bocca sottile. Era più alto di lei di tutta la testa, senza contare i suoi 15 cm di tacco, e aveva il fisico snello e vigoroso.
Le si avvicinò lentamente e sollevò la mano per sfiorarle il viso con la punta delle dita.
“Sei qui” sussurrò Civa ancora senza fiato.
Lui annuì. Non aveva parole per descrivere ciò che stava provando, ma la ragazza avvertiva l’eruzione di sensazioni che gli esplodeva dentro con una nitidezza quasi dolorosa.
Civa tese le mani verso il suo viso e sfiorò cauta le sue labbra. Tremava dall’emozione.
Senza riuscire a trattenersi, gli gettò le braccia al collo e gioì sentendo il calore del suo abbraccio attorno alla vita. Affondò il viso nel suo petto e inspirò il profumo intenso, pungente.
“Sto commettendo un errore imperdonabile” sussurrò Severus tra i suoi ricci. “Dovrei fuggire da te, metterti al sicuro dal mio cuore ghiacciato... ma non ho la forza di starti lontano nemmeno un istante...”
Civa sentì il suo respiro leggero tra i capelli, le labbra che le premette sul capo.
Alzò il viso per guardarlo negli occhi. Fuochi di tenebra incandescente, brillanti come stelle nel cielo notturno.
“Vorrei solo che tu capissi quanto io ti ami” sussurrò fissando l’intensità di quello sguardo. “Se già te l’ho detto, non me ne ricordo, ma ora te lo dico e voglio che tu mi ascolti: Severus Tobias Piton, io ti amo”.
Un guizzo di sorpresa in quelle tenebre perenni le disse che era la prima volta che la udiva pronunciare quelle parole. Forse aveva creduto che fosse inutile dirlo ad alta voce, quando ogni cellula del suo corpo andava in tilt al solo suo pensiero, ma evidentemente Severus non aveva capito che ciò che da bambina aveva provato si era via via accresciuto mutando infine in amore. Sincero. Vero.
“Tu mi... ami?”le chiese sbigottito ed incredulo.
Civa annuì.
“È ciò a cui siamo destinati da sempre... pensavo che lo avessi capito” sussurrò abbassando gli occhi con pudore.
“Non credevo che potessi ricambiarmi... non hai mai fatto niente che mi potesse far credere...” mormorò ancora stupefatto fissandola con ardore crescente.
Civa si tese in punta di piedi e prese il suo viso fra le mani. Appoggiò le labbra sulle sue per un istante e poi lo baciò. Un bacio dolcissimo, casto, colmo di tenerezza. Quando allontanò un poco il capo, si accorse che Severus l’aveva sollevata.
“Come hai fatto a non capire che ti amavo?” gli chiese con il viso ancora vicinissimo al suo. “Perché credi che l’anno scorso mi sia presentata per il mio compleanno con un abito di seta bianca trasparente e biancheria di raso costosissima?”
“Credevo fosse per Remus” le confessò l’uomo con amarezza.
Civa rise dolcemente.
“Sapevi che amavo Remus e non avevi capito che amavo te?” disse appoggiando le labbra sul suo viso, vicino alla bocca. “Volevo che entrambi vedeste che non ero più una bambina...”soffiò sulla sua pelle.
Severus ansimò, strinse più forte la presa su di lei ed emise un flebile gemito.
“Ho cominciato a desiderare il tuo corpo quando hai preteso di fare il bagno nuda nel Lago Nero, il giorno del tuo nono compleanno” confessò con tormento sempre più intenso.
“Me lo disse anche Remus, quando compì dieci anni... volevo che mi dicessi qualcosa anche tu, ma rimanesti zitto... Silente ci mise ore a convincermi che se non avevi parlato era perché eri imbarazzato e non perché non mi desideravi...”Ricordi a fiotti le invadevano la mente.
“Non devo desiderarti, non devo amarti... non è giusto ciò che provo per te” disse Severus ad occhi serrati.
No, non doveva. L’amore e il desiderio che provava per quella giovane fanciulla erano peccato. La sua stessa esistenza era un peccato. Non aveva diritto di posare lo sguardo su quel viso puro, lui immondo peccatore criminale dalle mani lorde del sangue di innocenti.
“Finiscila Severus” ordinò Civa seria, premendo le labbra sulle sue finché lui non cedette a un secondo bacio, stavolta più caldo e appassionato. “Dimmi ciò che provi per me”
“Se lo dico ora, non potrò più lasciarti” la avvisò fissando la distesa smeraldina dei suoi occhi.
“Dillo”
“Ti amo”
E a quelle parole, Civa fu sferzata da una scossa elettrica che le percorse le vene e si strinse a lui.
Un flash-back la colpì in pieno...
Silente finì di vestire la bambina. L’abitino principesco che indossava era nero come i suoi lunghi boccoli e riluceva di fili argentei e piccoli diamanti che lo decoravano e avvolgevano la bambina in uno scintillio cupo che sapeva di morte.
I capelli corvini erano intrecciati di nastri argentei che scintillavano come stelle nella notte, il visetto pallido era rigato di lacrime silenziose e le manine paffute si erano smagrite per il prolungato digiuno.
“Ricordi tutto quello che ti ho detto?” le chiese Silente grave sistemandole i riccioli attorno al viso con immane tenerezza.
La piccola annuì seria seria.
Silente la sollevò con dolcezza e le diede un buffetto sulla guancia, abbozzando un sorriso per cercare di sollevarle il morale. Invano.
Sospirando, il Preside dal naso acquilino si diresse con la bambina tra le braccia verso le fiamme verdi del camino e sentì la piccola stringersi a lui.
Sapeva che Civa aveva paura della Metropolvere, ma era il metodo più veloce per raggiungere il Ministero; quindi la strinse più forte ed entrò tra le lingue di fuoco color smeraldo tanto simili agli occhi di Civa.
“Ministero della Magia” disse semplicemente e, in un vortice di fuliggine dall’odore acre, vennero risucchiati verso l’atrium.
Una volta raggiunto il grande atrio del Ministero, Silente scese le scale fino al piano interrato, facendosi largo nella fiumana di gente che si accingeva a presenziare all’imminente processo.
Era veramente una folla quella che scemava di sotto per vedere come sarebbe finita quella storia. Silente si stupì del tanto interesse suscitato da Severus, ma probabilmente la maggior parte di quei signori era lì per capire che parte avesse lui stesso in tutta quella faccenda.
Civa era inquieta e si agitava singhiozzando tra le sue braccia. Aveva passato la notte a piangere e si era addormentata tra incubi e lacrime. Se non avessero assolto Severus, il cuoricino della piccina non avrebbe certamente retto.
Con un sospiro, Silente scansò i curiosi che cercavano di toccare la bambina ed entrò nella stanza.
Un’aula di tribunale di forma quadrata, una sedia con delle catene al centro e una serie di tribune che si elevavano lungo le pareti. Le panche del Wizengamont erano già piene, ma un posto accanto al podio di Crouch era ancora libero: il posto di Silente.
L’uomo dalla lunga barba argentea salì con calma la scalinata, salutando i conoscenti, e prese posto accanto a Bartemius Crouch. Civa era seduta in grembo al vecchio Preside, lo Stregone Capo del Wizengamont. Il distintivo dorato brillava sul tessuto scuro che le fasciava il piccolo petto scosso dai singhiozzi.
Crouch si chinò verso Silente.
“Albus, cosa ci fa qui la bambina?” chiese brusco.
Silente lo fissò con velato rimprovero, accennando allo stato in cui versava la piccina tra le sue braccia.
“Abbi un filo di tatto, Barty, Civa sta male” gli disse con calma glaciale. “E comunque sia, Severus è il suo legittimo tutore. Non vedo perchè non debba presenziare al suo processo”
“Ha solo due anni, cosa vuoi che gliene importi?” ribatté l’uomo con un alzata di spalle.
L’occhiata che gli lanciò Silente era così velenosa da ammazzare un Basilisco.
“Capisce più di quanto non capisca tu, Barty, e ora ti prego di cominciare il processo” rispose pacatamente il Preside dalla barba argentea tornando a guardare la sedia in mezzo all stanza.
A un cenno di Crouch, una porta si aprì di colpo e mostri di nero vestiti trascinarono dentro un uomo magro, pallido e smunto dai capelli corvini: Severus. I suoi occhi erano spenti, due tunnel bui colmi di dolore e disperazione...
La piccola si agitò in grembo a Silente tendendo le manine verso l’uomo.
“Stai buona, Civa” le ordinò dolcemente Silente tenendola ferma.
“Sev!” trillò la piccina singhiozzando.
L’uomo alzò lo sguardo vuoto e disperato su di lei e incontrò i suoi occhi smeraldini velati di lacrime di dolore.
E come per incanto la vita tornò in lui, la voglia di vivere, di combattere.
Lei, solo lei, solo per lei.
“Civa!” gridò gettandosi in avanti e strattonando le catene come nel tentativo di raggiungerla.
“Fermatelo!” ordinò Crouch puntando un dito verso i mostruosi Dissennatori che spandevano il loro gelo mortale sulla sala gremita.
Civa rabbrividì e singhiozzò istericamente.
Piton tentava disperatamente di liberarsi per correre da lei.
Due dissennatori lo afferrarono e lo costrinsero a sedersi. Sopraffatto dal loro potere, Sev si accasciò sul seggio incantenante.
“Severus Tobias Piton, sei imputato di Alto Tradimento al Governo, complicità in omicidio, spionaggio e fedeltà al Signore Oscuro. Come ti dichiari?” disse l’uomo sul podio alla destra di Silente, Crouch, guardando disgustato Severus, che se ne stava legato sulla sedia nel mezzo dell’aula, esposto agli sguardi malevoli di centinaia di maghi e streghe che ancora commentavano la sua inaspettata reazione.
“Colpevole. Sì, ero un Mangiamorte, ma già da tempo facevo il doppio gioco fornendo informazioni all’Ordine della Fenice” disse Severus tentando di ordinare i pensieri. Doveva pensare lucidamente, difendersi. Doveva tornare dalla sua piccina. Aveva la voce stanca e tremante come le sue membra smagrite e ossute.
Civa tentò di nuovo di divincolarsi dalla presa di Silente, è lui dovette trattenerla con la forza.
*Non ancora, non ancora* le diceva telepaticamente, tentando disperatamente di tranquillizzare quel piccolo urgano dagli occhi preziosi.
“Sev! Sev!” singhiozzava disperatamente lei tendendo le manine verso la sedia sotto lo sguardo allibito dei presenti.
“Albus, confermi ciò che questo spregevole individuo asserisce?” chiese Crouch rivolto a Silente fissando la bambina con notevole disapprovazione.
“Ma centi chi palla! Spegevoe salai tu, vecchio scimu…” fece la piccola tentando nuovamente di divincolarsi, stavolta per colpire Crouch con i piccoli pugnetti serrati.
“Civa, taci!” le intimò Silente perentorio bloccandola, poi si rivolse all’uomo. “Confermo. Severus si è messo dalla nostra parte da prima della caduta di Voldemort”.
Crouch storse il naso contrariato. Sembrava non credere all’innocenza di Severus.
Civa singhiozzò più forte, guardando implorante il mago sul podio, come a chiedergli di essere clemente. Ma Bartemius Crouch non conosceva la parola pietà e quando parlò lo fece con l’odio più puro nella voce.
“Le accuse a discapito del qui presente Mangiamorte sono troppo gravi per essere compensate da così poco. Non possiamo riporre fiducia in un uomo che ha tradito il suo stesso Paese per sete di potere” disse velenoso guardando Severus con disprezzo. “Questo essere infimo che sta laggiù incatenato non è che un verme, uno scarto della società. È troppo pericoloso lasciare che giri a piede libero per le nostre strade: cosa gli impedirà di uccidere e torturare Babbani e Maghi per il puro piacere di sentirsi più forte? Cosa gli impedirà di seminare il terrore con le sue maledizioni per tutta Londra? Volete che un simile mostro, un pluriomicida che si è macchiato dei crimini più orrendi, insegni ai vostri figli come avvelenarvi nel sonno? Volete che abbia la possibilita di avvicinarsi ai vostri bambini ed irretirli con il fascino delle arti oscure? Io dico di no e voto per la condanna!” e così dicendo alzò la mano.
Civa pianse più forte, terrorizzata dalle parole di fuoco che quell’uomo cattivo aveva rivolto al suo dolce Severus e dallo sguardo di odio immenso che rosseggiava in direzione del pover uomo incatenato.
Un piccolo pizzicotto sulla gambina paffuta le disse che era ora di recitare. Le parole che le aveva insegnato nonno Albus erano difficili da pronunciare e ancor più da ricordare, ma per Severus era disposta a fare anche l’immenso sforzo di sputarle in faccia a quel diavolo di Crouch. Doveva salvare Sev, altrimenti non sarebbe riuscita mai più ad essere felice. Sev era suo, nessuno poteva portarglielo via.
“No!” gridò la bambina liberandosi con uno strattone dalla stretta di Silente e correndo a perdifiato giù per le gradinate, in lacrime.
Si gettò a capofitto giù dalla scalinata e raggiunse lo spiazzo al centro del quale vi era la sedia di Severus. I due Dissennatori stavano per avvicinarsi , ma qualcosa, probabilmente un ordine di Silente, li frenò. La piccola dai ricci ebanei si precipitò verso Piton, che si era slanciato dalla sedia e strattonava le catene per tentare di liberarsi e raggiungerla. Le manette di metallo caddero con uno schiocco secco e Severus crollò in ginocchio stringendo la piccola singhiozzante tra le braccia forti.
Alla sola vista della sua piccola principessina Severus parve improvvisamente rinvigorito, come se avesse bevuto un elisir rigenerante. Dai suoi occhi prima vuoti e freddi ora sprizzavano fiamme incandescenti del colore delle tenebre che guizzavano di euforia mentre si posavano sui ricci d’ebano della piccina.
“Piccola mia, non piangere, shh, no mio tesoro, non temere”le sussurrò piano sollevandola delicatamente, come se avesse paura di spezzarla.
“No voio che ti pottino ‘ia, no voio che ti facciano bua! Sev, Sev, no mi lasae, ti pego!”singhiozzò la bambina stringendo convulsamente le vesti di Piton.
“No, mia bimba, no. Non ti lascerò mai. Dovessi tornare a nuoto dall’Antartide o attraversare il Sahara a cavallo di un dromedario ubriaco, tornerò sempre da te, dalla mia piccola bambolotta. Non riusciranno a separarci!”Severus la strinse forte, le carezzò i boccoli e la ricoprì di teneri baci.
Civa smise lentamente di piangere e Piton le asciugò le guanciotte rosee con un lembo della veste lacera. Sembrva ringiovanito di dieci anni mentre se la stringeva e se la spupazzava teneramente.
La bimba prese fiato e fissò con aria di sfida Crouch che, dal suo posto sul podio, osservava allibito quella scena di tenerezza inaudita.
Era giunto il momento della verità. Se la tattica escogitata dal vecchio Preside non fosse andata a buon fine, allora Severus sarebbe stato spacciato. E tutto dipendeva da una piccina di due anni aguerrita e disperata.
“Seveus Tobias Piton è tonnato dalla notta patte quando ha saputo che Lod Voddemot milava alla notta famia. Tonnato pe i bene di mia made Lily Clalice Beatiz Evans. E è limatto pe potegela” esclamò decisa con la vocetta infantile, ancora stretta tra le braccia di Piton.
“No, Civa” la fermò Piton alzandosi in piedi con lei in braccio. “In verità, sono tornato sì per tua madre, ma, quando ti ho visto e ho capito, sono rimasto per proteggere te, Civa, e per giurarti il mio amore, in etterno a te fedele” disse Piton serio fissando il Wizengamont come a sfidarli ad affermare il contrario. “Ti amo, Civa”
Poi, ignorando le centinaia di occhi che li fissano allibiti, appoggiò per un secondo infinto le labbra su quelle della bimba.
Nella giuria calò il più stupefatto dei silenzi mentre Piton sedeva sul seggio incantenante cullando dolcemente la piccola dagli occhi di smeraldo, che rideva allegra ora che era di nuovo tra le sue braccia.
“Come potete vedere” esordì Silente alzandosi in piedi, “Severus Piton non è il mostro che Barty vuole farvi credere” Attese qualche istante, lasciando scorrero lo sguardo azzurro sui maghi e le streghe del Wizengamont. “Severus Piton ama, e chi ama non può essere considerato un mostro”Di nuovo, attese che le sue parole facessero effetto. “Severus Piton è il protetto di una bambina di due anni che è più potente di tutti noi messi insieme. La sua innocienza infantile è la prova più sicura che abbiamo del reale pentimento di Severus: Civa non proteggerebbe mai un uomo dal cuore impuro”
Un altro attimo di silenzio che parve eterno si propagò per la sala.
Sui visi dei presenti si susseguivano espressioni di tenerezza, disprezzo, confusione, compassione,disgusto. Nessuno riusciva a decidere se Severus meritasse o meno il perdono della corte, se il pluriomicida si fosse davvero convertito in un tenero baby sitter che si lasciava mordicchiare il collo da una piccola di due anni dal destino inestricabile. Era sicuro lasciarlo libero di accudire il futuro del mondo magico? Era sicuro lasciargli istruire i giovani maghi?
Ma le risate di Piton mentre coccolava la bambina erano impregnate di sincerità e nei suoi occhi brillavano l’adorazione e la devozione più complete e vive. Era vivo come non lo avevano mai visto neanche coloro che già lo conoscevano; una vitalità che sprizzava da ogni poro e gli colorava le guance di porpora.
Piton era cambiato, realizzarono i maghi e le streghe della giuria con sussurri di incredulo stupore, ed era diventato quello che ora vedevano al centro dell’aula: un innamorato e adorante compagno per la futura Primo Ministro della Magia. Come potevano rifiutargli la salvezza e far soffrire quel piccolo bocciolo dai ricci d’ebano?
Non una mano si alzò per la condanna, cosa che fece andare Crouch su tutte le furie.
“… e con ciò, io ti dichiaro assolto da tutte le accuse, per volere della Nostra Signora, futura 1° Ministro” esclama stizzito pestando il martelletto sul tavolo innanzi a lui.
Un forte appluso coprì le grida di gioia della piccola Civa, che prese a saltellare in braccio a Piton stringendolo con tenerezza immensa e piangendo felice.
“Lavorerà per me a Hogwarts come insegnante di Pozioni” assicurò il vecchio Preside, lo sguardo orgoglioso fisso sulla scena di tenerezza che si svolgeva al centro dell’aula: Civa accoccolata tra le braccia forti di Piton, stretti in un abbraccio caldo e dolce.

Civa tornò alla realtà e fissò Severus con gli occhi lucidi, smeraldi scintillanti ancor più liquidi del solito.
“Sono rimasto per proteggere te, Civa, e per…” sussurrò con le lacrime a stento trattenute.
“…per giurarti il mio amore, in etterno a te fedele” concluse lui guardandola con amore e sfiorandole il viso. “E così è, mio unico amore”
Civa posò il capo sul suo petto singhiozzando di gioia.
“Severus Tobias Piton, l’uomo il cui ricordo mi ha straziato la mente e il cuore per dieci lunghi anni. Ogni attimo passato insieme, ogni minuto trascorso tra le tue braccia...”
Severus le gettò indietro una ciocca di capelli e la strinse al petto sorridendo.
“Io amavo tua madre, eppure l’amavo perché un’ombra e un pensiero le giravano attorno. Ed io erano quell’ombra e quel pensiero ch amavo; amavo te, che ancora dovevi nascere e già mi straziavi il cuore al tuo solo pensiero”.
Civa singhiozzò e nascose nuovamente il viso tra le sue vesti.
Severus la strinse. La sentiva. Sentiva il profumo inebriante della sua pelle, il calore del suo corpo. La sua volontà vacillò.
*Non devo cedere a simili tentazioni... non devo approfittare della sua innocente ingenuità... in fondo, è ancora una bambina...* si disse respirando a fondo per controllarsi.
La guardò e notò sorpreso che i suoi occhioni di smeraldo lo fissavano con rimprovero.
“Come fai ha sentire sempre i miei pensieri?” le chiese.
“Guarda che ti si leggono in faccia” lo rimbeccò lei. “Tu credi ancora che io sia una bambina”.
Severus la fissò intensamente. Il viso era ormai un ovale perfetto, da grande, braccia e gambe erano tornite e le mani paffute ma da adulto. E poi c’era ciò che con il passare degli anni gli aveva fatto cominciare a desiderare non solo il suo cuore puro e limpido come cristallo, ma anche il suo corpo: il seno così pronunciato, i glutei sodi e tondi, i fianchi floridi e le cosce morbide. No, sicuramente il suo corpo non era più quello di una bambina, nonostante la tenerissima età.
Ma, d’altro canto, i suoi occhi erano colmi di innocenza infantile... e se fosse stata adulta, certamente non avrebbe vissuto così pienamente le proprie emozioni: gli adulti frenano i sentimenti, li tengono sotto controllo.
“Bambina” le disse lui deciso. “E lo resterai fino a quando non saprai come nascono i bambini”.
Con sua sorpresa Civa rise di gusto. Una risata argentina, colma di purezza.
“Siete banali” disse divertita. “Questo trucchetto l’ha già usato Remus e non ha funzionato: se credi che io sia tanto ingenua da abboccare ancora alla storia della cicogna, ti sbagli di grosso”.
Lui la guardò stupito: possibile che Civa sapesse? Non erano cose che si studiavano a scuola, almeno non nelle classi che Civa aveva frequentato. Che la zia le avesse spiegato tutto quando si era sviluppata?
Di nuovo, Civa rise.
“Sai, i Babbani hanno una cosina chiamata internet” gli disse. “Non sono poi così tanto innocente come credi”.
Severus la guardò sbalordito. Civa aprì la comunicazione emozionale che li legava e gli mostrò i ricordi di un pomeriggio di ricerche su internet. Poi la ragazza gli mostrò qualcos’altro: immagini di se stessa, senza veli.
“No!” gemette lui tentando di interrompere il flusso.
“Non vuoi vedere? Allora senti” sussurrò maliziosa la sua bambina che, in fin dei conti, bambina non era.
Un flusso emotivo. Civa gli mostrava le sue emozioni: c’era amore intenso, c’era gioia e poi c’era... desiderio. Lei lo desiderava.
“Civa, non posso... se cedo al desiderio che ho di te sarai perduta... non posso approfittare della tua dolce vita... e poi sono un tuo professore...”
Il viso di Civa era così vicino da poterlo toccare, da poter distinguere una a una le sue ciglia lunghissime, da potersi specchiare nelle iridi verdissime, in quegli smeraldi brillanti e fluidi. Ne sentiva il dolcissimo profumo di menta e zucchero, inebriante ed irresistibile; il fiato caldo che sapeva di cioccolato e latte.
“Appunto: il mio professore” rise Civa maliziosa passandogli la lingua scarlatta sulle labbra, lasciandovi il suo dolce sapore. “Non sono più una bambina, Severus. So benissimo cosa voglio. E ora voglio te, che ti piaccia oppure no. Questo è ciò che ha scritto il destino”.
E Severus si arrese, incapace di resistere. Che senso aveva intralciare il destino? Prese la sua lingua tra le labbra e la baciò con vermiglia passione e, cedendo al desiderio, strinse i glutei sodi tra le dita, fece scivolare le mani sulla schiena liscia come pelle di pesca, sotto il raso dell’abito.
“Ho voglia di noi” sussurrò Civa, e Severus percepì ciò che intendeva prima ancora che gli inviasse l’immagine: il letto dove si erano sdraiati a guardarsi per anni quando era piccina, loro stretti l’una all’altro... ma niente più parole: ora avrebbero parlato i baci, gli aneliti e i gemiti, cantando la nenia della loro passione.
“Andiamo, questo discorso lo concludiamo più tardi” disse infine Piton fissandola con un sorriso mefitico e dandole un bacio a stampo.
Civa ridacchiò, le sue labbra ancora posate su quelle del professore.
Scomparvero.
Si ritrovarono in un’ampissima stanza di pietra, ricolma di sedie.
Severus non la smetteva di fissare Civa e tentò di nuovo di baciarla, ma lei si scostò facendogli l’occhiolino e sfiorandogli la veste nera con inaudita malizia. Si strinse a lui e ne sentì il respiro tra i capelli mentre le braccia le cingevano la vita.
Si allontanò un poco per giocare con la sua veste, quando…
“Bentornata, Civa” disse una voce sconosciuta mentre Civa sentiva il calore di un abbraccio sulla schiena e attorno alle spalle.
Quella voce tanto affettuosa, quel calore così familiare…
“Nonno Albus…” mormorò Civa voltandosi verso l’anziano dagli occhi azzurri e la fluente barba d’argento.
Lo abbracciò stringendolo forte mentre le braccia di lui quasi la stritolavano. Era troppo felice, però, per dirlo.
“Un anno che non mi sentivo più chiamare così… Mi sei mancata più dell’aria, Civa”sussurrò Silente carezzandole con dolcezza il capino.
Piton tradì la gelosia con un tremore del labbro e subito Civa si allontanò da Silente per tornare da lui.
Prese la sua mano e intrecciò le proprie dita alle sue, fissandolo con immane tenerezza.
Severus le sorrise.
“Dovrò fingere di non amarti, almeno in pubblico” le sussurrò accarezzando con delicatezza il suo viso. “Tu mi impedisci di rinunciare a te, sbagliando, ma molte persone mi obbligherebbero a farlo, avendo ragione”.
Lei gli pizzicò il braccio, spazientita, e lui rise scompigliandole i ricci.
“Quando avrete terminato con queste sdolcinatezze, mi vorrei presentare” disse bruscamente un ometto basso e tarchiato che si avvicinava rigirandosi tra le mani una bombetta verde acido. “Lady Potter, sono il vostro Vice-Ministro, Cornelius Neil Roland Caramel”
Civa notò lo sguardo insistente di Caramel e arrossì, a disagio.
“La pregherei, Vice-Ministro, di non sbavare guardando miss Potter come fosse un bignè ripieno” disse freddamente Piton fissando Caramel con uno sguardo di letale gelosia e spostandosi per coprire Civa.
Caramel abbassò lo sguardo, terrorizzato, e si allontanò velocemente.
Civa rise divertita dal comportamento di Severus.
“Sei un pochetto geloso, amore?” gli sussurrò maliziosa sfiorandogli la mano.
Piton le sorrise eloquente, stringendo la manina con fare possessivo.
“Potresti vestirti un po' di più, sai?”
La sala cominciò a riempirsi e ogni persona che entrava portava via a Civa un po’ di colore dalle guance. Cominciò a tremare, barcollò, ma subito due braccia forti la sostennero e la strinsero con enorme dolcezza.
“Sei sicura di star bene?” le chiese premurosamente Severus aiutandola a sedersi sul seggio dorato al centro della pedana rialzata sulla quale si sarebbe tenuta la presentazione.
“Sev, mi resterai accanto per tutto il tempo, vero? Temo che se non mi sosterrai sverrò immediatamente” disse ansiosa Civa, ansimando.
“Non temere, non ti lascerò, amore mio” la rassicurò lui carezzandole i boccoli d’ebano morbido e scuro e sperando che nessuno notasse le sue premure.
Silente sfiorò la spalla della strega.
“Bambina mia, è ora” le sussurrò con tenerezza.
Civa deglutì, prese la mano che Piton le porgeva per aiutarla ad alzarsi e si avviò con lui al centro del palco.
Piton aveva ripreso la sua solita maschera di freddezza e il sorriso sulle sue labbra era un ghigno cinico, ma le mise un braccio attorno alla vita e la strinse con dolce premura, sorreggendola delicatamente.
“Cari colleghi e care colleghe” cominciò Civa incerta, “da oggi, io, Civa Lily Aurora Potter, sarò la vostra Primo Ministro della Magia” prese fiato e Piton le strinse più forte la vita, incoraggiante. “Abbiate pazienza, ancora non sono brava con la magia, e non conosco molto bene le vostre, o meglio nostre, leggi.
“Dovete però prepararvi a grandi cambiamenti; poiché sono stata informata da fonti attendibili che il sistema di legge andrebbe riesaminato attentamente. M’impegno perciò a usare tutti i mezzi a mia disposizione perché ogni disservizio, ingiustizia o malfunzionamento di tutti gli organi del Ministero siano totalmente eliminati.
“Inoltre, ho intenzione di far sì che i diritti di tutti, tutti, i miei dipendenti, compagni di scuola, insegnanti e cittadini vengano rispettati; siano essi ricchi o poveri; forti o deboli; Purosangue, Mezzosangue o Nati Babbani; Maghinò; Auror…” alzò il viso verso Piton e, guardandolo negli occhi, “… o Mangiamorte. Pentiti o fedeli”.
Un mormorio sommesso si sparse nella sala alle ultime parole.
*Con questo, gli ho dimostrato quanto è grande il mio amore e che non porto rancore né a lui né all’uomo che ha ucciso i miei genitori… è ho dimostrato a tutti che mi fido di Severus incondizionatamente*.
Sebbene la sua espressione gelida non fosse mutata di un millimetro, la riconoscenza di Piton si sentì nell’aumentare della stretta attorno alla sua vita. Si portò alle sue spalle, le cinse i fianchi con entrambe le braccia e le affondò il viso nei capelli, sentendone il profumo di lavanda fresca e menta forte.
Un mormorio si sparse nella sala a quel gesto, ma lui lanciò sulla folla un’occhiata di puro veleno e tutti si zittirono.
“Non accetto contraddizioni, ciò che dico è legge. Ogni uomo ha dei diritti, anche il peccatore più incallito. Dio ha instillato in noi la capacità di perdonare, è per questo che siamo diversi dagli animali. Ho perdonato Severus quando non avevo neanche un anno, perdonato anche se non sapevo cos’avesse fatto né perché mio padre l’odiasse tanto, e l’ho difeso quando lo volevano condannare. Ho riposto in lui una grande fiducia, fiducia che lui non ha fino ad oggi tradito e, ne sono certa, non tradirà mai. D’ora in poi farò di tutto pur di trovare i seguaci di Lord Voldemort, ma ogni Mangiamorte o presunto tale avrà diritto a un processo e ogni sua affermazione verrà verificata nei minimi dettagli. Nessuna eccezione” disse Civa sicura. Non aveva notato l’attimo d’agitazione.
Silente si avvicinò e le toccò di nuovo la spalla.
“Ora ti presenterò alcuni personaggi di rilievo… stai tranquilla e sorridi” aggiunse dolcemente vedendo che la giovane sbiancava di nuovo.
Severus la sostenne nuovamente, guardandosi intorno nervosamente.
“Penso sia meglio che tu ti sieda” sussurrò preoccupato facendola sedere e inginocchiandosi accanto al suo scranno tenendola per mano. Il suo viso era gelato in un espressione di puro cinismo, ma il solo contatto con la pelle di Civa gli faceva aumentare di cento volte le pulsazioni e Civa lo sapeva.
I professori di Hogwarts si avvicinarono e Silente li presentò a uno a uno, attento alla sua reazione e pronto ad intervenire in caso avesse avuto un mancamento.
“Minerva McGranitt, Filius Vitious, Pomona Sprite, Sibilla Cooman, Ernest Raptor, Jonathan Vector, Sinistra Ronwind, Beetle Kettleburn… e già conosci il professor Severus Piton” una scintilla di malizia passò negli occhi del Preside.
Civa arrossì, ma tacque. Silente sapeva, aveva sempre saputo. Ma era disposto ad accettare che il loro sentimento si evolvesse in passione?
“E questi sono alcuni membri del Ministero: Emeline Vance, Amelia Bones, Mafalda Hopkirk, Alastor Moody, Kingsley Shackelbolt, Dolores Jane Umbridge, Dedalus Lux, Sturgis Podmore, Ninphadora Tonks…” continuò il Preside.
“Lucius Malfoy, miss Potter, è un immenso onore conoscervi” disse a un certo punto una voce melliflua.
L’uomo le fece il baciamano e Civa lo guardò: aveva freddi occhi grigi e lunghi capelli biondissimi, quasi bianchi. La sua espressione era di gelido disprezzo mentre osservava la folla assiepata per conoscere il nuovo Ministro.
“Buongiorno, Severus, non pensavo che avresti presenziato alla nomina della nostra incantevole Civa” aggiunse Malfoy accorgendosi di Piton e guardandolo con la stessa fredda superiorità.
*Ecco il padre dei due pagliacci di ieri* realizzò Civa squadrandolo sprezzante con un falso sorriso.
Non le piaceva il suo atteggiamento, né tantomeno gradiva il tono con cui si era rivolto a Severus.
“Veramente, anch’io sono sorpreso di vederti, Lucius” disse con calma glaciale Severus. “Non credevo che ci avresti degnati della tua presenza”.
Civa si alzo e si avvicinò a Malfoy sottobraccio a Severus.
Gli occhi dell’uomo li osservavano curiosi, notando la remissività che dimostrava Civa nei confronti del professore. Ma dopotutto era un suo professore; e anche se la giovane era il Primo Ministro, entro le mura di Hogwarts sarebbe stata una semplice allieva. Forse considerava i professori come i propri superiori.
Piton serrò forte la mano sulle dita di Civa che si reggevano al suo braccio e lei lo guardò interrogativa. Severus fletté il braccio sinistro e fece un cenno col capo verso Malfoy.
Civa lo guardò, poi guardò Piton, infine guardò Malfoy. Aveva capito. La prima impressione ch aveva avuto di quell’uomo che si credeva tanto migliore degli altri era quella giusta: Malfoy era un poco di buono.
“L’onore è mio, Lucius… ieri ho incontrato i tuoi figli, ma non mi avevano detto di avere un padre così affascinante…” disse con voce falsamente cordiale.
Lo sguardo di Severus rimase ostinatamente fisso negli occhi di Malfoy, come per avvertirlo di non fare passi falsi, ma Civa sentì in bocca il sapore del suo disappunto.
“Il mio Draco è entusiasta al pensiero di conoscervi, e Karin non vede l’ora di esservi amica” disse Malfoy con uno sguardo d’apprezzamento al corpo sinuoso della giovane.
Civa sentì in bocca un sapore dolciastro, come di medicinale. Gelosia. Strinse più forte il braccio di Severus.
“Spero che onorerete della vostra presenza la Casata di Serpeverde” si congedò Malfoy con un inchino.
“Esiste una parola per descriverlo?” chiese Civa osservandolo con ribrezzo mentre si allontanava.
“Viscido potrebbe dirsi appropriata” rispose Severus con malcelato disprezzo. “Disgustosamente falso. Se non è ancora fedele all’Oscuro Signore ingoio un Cespuglio Farfallino intero”.
“Come ha fatto a riabilitarsi?” sussurrò la strega appartandosi in un angolo con Severus mentre le persone uscivano lentamente dalla sala.
“Caramel ha il vizio dei soldi” rispose Piton mentre la sua espressione gelida lasciava il posto al disprezzo. “Ha accettato denaro in cambio del rogo dei fascicoli accusatori dei Malfoy”.
Civa lanciò un’occhiata disgustata a Caramel.
Sentì le mani di Piton stringersi alle sue.
“Amore come riusciremo ad amarci in una scuola piena di studenti che grideranno alla corruzione non appena scopriranno la situazione?” le chiese sottovoce, il viso serio.
“Sii te stesso” gli disse lei fissandolo in quegli occhi color carbone. “Niente sdolcinatezze, in pubblico calibriamo le effusioni. Non voglio che ci separino”.
Lui le rivolse l’ombra di un sorriso. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia, ma alcuni giornalisti ronzavano ancora nella sala e non era prudente farsi sorprendere abbracciati.
Quando nel sotterraneo rimasero solo loro, Silente e Caramel, i due si alzarono e si avvicinarono al Preside mano nella mano.
“Ora porto Civa a Hogwarts” stava dicendo il vecchio a Caramel. “Devo raccontarle, spiegarle. Deve sapere tutto. Non voglio dirle tutto questo, ma devo. Se riuscirà a ricordare saprà tutto comunque e mi odierà per non averglielo detto”.
Caramel annuì gravemente.
“E Harry?” chiese.
“Le imporrò un Incanto di Limitazione” rispose Silente con un sospiro.
Severus le gettò un’occhiata e Civa riconobbe una nota d’ansia nella gelida maschera del suo viso.
Silente si accorse di loro e pizzicò con un sorriso le guance di Civa.
“Andiamo al castello, Civa, Severus” disse e si avviò con loro verso la porta sotto lo sguardo curioso di Caramel.
I tre percorsero in silenzio un lungo corridoio di lucenti pietre nere e raggiunsero un ascensore simile ad una gabbia dorata.
“Albus, è proprio necessario che sappia tutto? Potrebbe spaventarsi” disse Piton tentando di nascondere l’apprensione nella propria voce.
Silente lo guardò fisso attraverso le lenti.
“Se continua di questo passo, ricorderà di 99 centesimi di quello che ho bloccato prima di Natale” disse il Preside. “Se non le dirò tutto ora, poi potrebbe odiarmi per averglielo nascosto”.
Lo sguardo dell’uomo si fissò nel fiume color smeraldo degli occhi di Civa. Le torce lanciavano riflessi aurei nello sguardo intenso della ragazza.
Uscirono in un ampio atrio e si infilarono in un camino in cui danzavano vivide fiamme smeraldine, molto simili agli occhi della strega.
Riapparvero poco dopo nel focolare di un grande ufficio, ma Civa non si guardò intorno, troppo presa a fissare intensamente Silente.
“Non voglio che soffra” disse Piton posando le mani sulle spalle di Civa.
“So quanto tieni a lei, è inutile provare a negarlo” disse calmo Silente. “Ma è meglio che sappia da noi prima di ricordare da sola”.
Severus inspirò a fondo e strinse più forte le spalle della ragazza
“Credo sia meglio che ci lasci soli” disse Silente sedendosi alla sua scrivania e facendo cenno a Civa di prendere posto in grembo a lui. “Non voglio che Civa si distragga”.
Civa fissò Piton incerta.
Lui si chinò su di lei, cingendola con le braccia.
“Il mio ufficio è nei sotterranei, vieni...”Esitò incerto. “Vieni appena puoi” sospirò infine.
La baciò dietro all’orecchio, nascosto dai lunghi boccoli, e se ne andò.
Civa si sedette in braccio a Silente e lui, dopo averle spiegato il segreto della collana di rubini e del pacchetto della camera blindata 713, le raccontò la propria storia, quella di Voldemort, quella di Hogwarts e dei suoi fondatori, la vita di Lily e James Potter e dei loro amici. Le raccontò poco, su Piton, ma Civa intuì più si quel che le fu detto. Poi le raccontò del miracoloso giorno della nascita sua e di suo fratello.
“Severus era da poco tornato dalla nostra parte e volle assolutamente assicurarsi che Lily stesse bene, dopo il parto, ma… quando scansò vostro padre ed entrò, tu eri in piedi nel lettino e tendevi le braccine per farti prendere in braccio. Successe il miracolo. Dopo anni e anni, il viso di Severus si illuminò di un sorriso. Non un ghigno, un vero sorriso. Non ci pensò due volte e ti sollevò con una dolcezza che mai mi sarei aspettata da lui. Capii subito che l’amore provato per Lily non era che l’anticipo dell’amore che doveva provare per te. Eri speciale già prima della cicatrice: ci incantasti tutti al primo sguardo. Me, Sirius, Remus, Peter… e Severus. Tra te e lui c’era un’alchimia mai vista… e anche tra te e Remus. Non avevo mai visto una piccina come te. Poi vidi brillare il tuo medaglione e capii che eri in pericolo.
“Quando accadde ciò che accadde, posi su te e tu fratello un incanto perché non ricordaste il passato prima degli undici anni, ma su di te ebbe poco effetto e so che per tutto questo tempo sei stata torturata da flash-back e mezzi ricordi di cui non capivi bene il senso. Mi spiace”
Civa tremava, scossa dai singulti, incapace di parlare.
Si alzò barcollando.
“Che vuoi fare, bambina?” chiese preoccupato Silente, alzandosi a mezzo dalla sedia con le braccia tese verso di lei.
La strega scosse il capo.
“Sotterranei” sussurrò solo, e scomparve.
Silente fissò incredulo il punto in cui Civa era sparita.
“Impossibile!”
La giovane apparve in un corridoio sotterraneo di umida pietra e vide a pochi passi da lei una porta di legno nero, probabilmente ebano.
Era la porta dell’ufficio di Severus.
La ragazza si asciugò le lacrime e bussò. Nessuna risposta. Provò a toccare la maniglia: era aperta.
Entrò e voltò attorno lo sguardo smarrito. Severus non c’era, ma da una porta nella parete alla sua sinistra veniva un bagliore rosso arancio, come di fiamme.
La strega richiuse la porta e attraversò silenziosa la stanza. Posò la mano sulla maniglia ed entrò.
La camera era illuminata dal fuoco di un camino e dalle fiammelle aranciate di decine di candele nere sparse un po' ovunque. Sul pavimento di pietra e sui mobili d’ebano erano stati sparsi petali di rose rosse e nell’aria aleggiava un lieve sentore di rosa. Severus era seduto ai piedi di un grande letto a baldacchino e, vicino al letto, Civa notò un carrello da ristorante su cui torreggiava un secchiello per il ghiaccio d’argento che conteneva una bottiglia capovolta. Accanto al cestello vi erano due flute da champagne, un vassoio di fragole e una ciotola di cioccolato fuso.
Civa chiuse la porta.
Severus la fissava intensamente, tentando d’indovinare i suoi pensieri.
Il cuore della strega batteva forte. Severus aveva fatto tutto quello solo per lei?
“Ho pensato che, se devo andare all’inferno, in questa vita devo godermi al meglio ogni attimo di paradiso” disse alzando le braccia a indicare l’intera stanza.
“Tu sei pazzo” gli sussurrò lei.
Severus rise. Strano: ogni traccia di freddezza, cinismo e cattiveria era scomparsa.
“Devo essere pazzo per rimanere al tuo fianco” le disse tornato serio. “Se fossi sano, me ne sarei andato dopo aver capito quanto tenevo a te, 11 anni fa”.
Civa e Severus si guardarono negli occhi mentre lei si avvicinava al letto con passi lenti ed eleganti.
Severus rise di nuovo e l’accolse fra le braccia.
“Hai il portamento e la leggiadria di tua madre” le soffiò fra i capelli.
Prese una fragola e la immerse nel cioccolato, poi la portò alle labbra di Civa.
“L’amavi molto?” chiese la strega alzando lo sguardo verso di lui.
Severus non rispose, strofinando la fragola sulle labbra di Civa. Lei morse il frutto e un rivolo di succo scarlatto le scivolò sul mento. Severus l’asciugò con un bacio e le infilò fra le labbra il resto della fragola; poi prese la bottiglia e l’aprì con un tocco. Versò il liquido profumato nei bicchieri e ne porse uno alla strega.
Civa lo fissò intensamente mentre sorseggiavano il vino.
“Perché non rispondi?” chiese.
Severus posò il bicchiere e si tamponò le labbra con il tovagliolo; poi la guardò.
“Credevo di amarla” rispose lentamente, intingendo una seconda fragola e porgendola alla ragazza, “ma ogni volta che pensavo davvero a lei, ogni volta che la guardavo, ogni volta che sentivo la sua voce... sentivo che c’era un qualcosa... una stonatura...”
Civa prese la fragola e gliela portò alle labbra. Quando lui morse, la ragazza alzò il viso e mise in bocca l’altra metà del frutto carminio, facendo incontrare le loro labbra in un bacio dolce di frutta e cioccolato.
Lui le carezzò il viso dolcemente e sospirò.
“Se avessi saputo che c’eri tu nel mio futuro, avrei sbagliato meno” sussurrò amareggiato. “Non mi sarei macchiato di sangue, se avessi immaginato che un giorno queste mie mani avrebbero sfiorato la pelle d’alabastro di un angelo caduto dal cielo per illuminare la mia vita di tenebra”.
Civa sorrise. Una piccola lacrima simile a una goccia di diamante le percorse il viso dalla pelle vellutata e le bagnò le labbra cremisi.
Severus osservava rapito le gocce scintillanti intrappolate fra le lunghe ciglia di Civa, accarezzandole la schiena.
La ragazza sentì di nuovo il sapore del cioccolato sulle labbra e prese in bocca il frutto. Altre gocce rosse le rigarono il mento e Severus leccò via il succo e il cioccolato.
Civa espirò lentamente, il viso a pochi centimetri da quello di Severus. Avvertiva sul viso il fiato caldo del mago, vedeva un incendio divampare nei suoi occhi, sentiva il cuore pulsare potente contro il suo seno.
“Ti amo, Civa, io ti amo” sussurrò lui.
“Ti amo, Severus” rispose la ragazza.
Lo fissò con gli occhioni smeraldini luccicanti di lacrime, il respiro affannato.
Severus intinse le dita nel cioccolato e le passò sul mento di Civa, giù lungo il collo e sul decolté, fino al solco tra i seni.
Civa lo fissò intensamente e lui ricambiò lo sguardo; poi appoggiò le labbra sul suo mento e prese a scendere lungo la linea di cioccolato con piccoli baci.
Civa gemette di desiderio quando sentì le sue mani slegare i lacci del corpetto e dischiuse lentamente i bottoni della sua veste scura con le proprie dita tremanti.
“Ti fidi di me?” le chiese l’uomo in un sussurro.
Ora Civa avvertiva il tocco caldo di Severus sulla pelle nuda, mentre lui la stendeva delicatamente sul letto morbido. Le fece scivolare la babydoll e slacciò i gancetti del reggiseno.
Civa ansimò e lo liberò della veste, facendo scorrere le dita sulla sua pelle.
Avvertì un improvviso calore sul seno e sul ventre: Severus le versava gocce di cioccolata sul corpo. Prese una fragola e la intinse nei rivoli, poi se la portò alla bocca e leccò con gusto.
Civa rise dolcemente.
“Finirete nel girone dei golosi, professore” sussurrò maliziosa intingendo la punta dell’indice nel dolce fluido e disegnando una freccetta sul proprio ventre.
Piton le sorrise con amore e malizia.
“E voi in quello dei lussuriosi, mia cara miss Potter” sussurrò chinando il capo per leccarle via il cioccolato dalla pelle. Civa apprezzò con lievi gemiti.
La ragazza tirò il viso del compagno verso il proprio e lo baciò con dolcezza mista a passione, mentre le sue mani scivolavano nell’intimità d Severus e sfioravano abili e veloci la sua virilità.
“Mmm... complimenti...” sussurrò soddisfatta stringendo un po' di più.
Severus chiuse gli occhi e deglutì, trattenendo un gemito.
“Sei assurdamente eccitante per essere una bambina di undici anni” borbottò col fiato corto.
Civa strinse di più e gli strappò finalmente un gemito.
“Non. Chiamarmi. Bambina” lo avvertì con un sorrisetto perfido.
“Altrimenti?” la stuzzicò lui con la sua espressione cattiva.
Le afferrò i polsi e la inchiodò al letto.
“Che mi fai, piccola streghetta lussuriosa?” le chiese con un sorriso sadico.
Torreggiava su di lei premendola sul letto con il proprio peso. Era più forte, più grosso e più furbo di lei, cosa poteva fargli?
Sorrise con insolenza e gli fece una linguaccia.
“Non mi fai paura, bestione” lo prese in giro.
“Ma sentila questa piccola impertinente!” esclamò lui divertito stringendola di nuovo teneramente.
La baciò e slegò i fili che le tenevano su il triangolo di stoffa leggera.
Civa sorrise appagata quando lo sentì solleticare la propria femminilità con il membro e allargò un poco le gambe.
“Hai detto di desiderarmi” disse piano l’uomo. “Se ne sei davvero certa, voglio che tu abbia tutto ciò che desideri”.
La fissò intensamente.
La parte razionale del suo cervello, quella che spesso lo costringeva ad odiarsi per l’amore che provava per quella piccola e innocente creatura, gridava a squarciagola di non andare oltre. Aveva già fatto troppo, aveva violato il candore infantile della piccina, non doveva osare di più. Ma Severus era perso nel torpore del corpo della giovane strega, ammaliato ed eccitato dalla sua malizia e dalla sua intemperanza, schiavo dei brucianti desideri della carne che ormai da troppi anni non appagava in alcun modo. Decise che si sarebbe pentito dopo, come aveva sempre fatto. Ora esisteva solo Lei.
La ragazza lo fissava con i grandi occhi di bimba spalancati e colmi di quello che era chiaramente amore intenso, potente, vibrante. Lesse il desiderio che le mordeva la carne, devastando la sua innocenza per renderla un po’ più donna. La piccolina fece scattare la mano e premette con forza sul suo membro.
Lui sorrise, strinse la presa sui suoi fianchi e affondò in lei con passione feroce, sentendo le sue mani avvinghiarsi alla propria schiena, le gambe intrecciarsi alle sue, la bocca schiudersi in un anelito di voluttà.
Rimasero uniti a lungo e Severus fu spesso costretto, tutt’altro che controvoglia, a soffocare con un bacio le grida deliziate di Civa; finché, paghi, non rimasero distesi l’uno sull’altra, abbracciati, gli occhi negli occhi.
“Scusami, non volevo… non ho capito più nulla… ti devo aver fatto un male terribile…” si scusò Severus mortificato carezzando l’inguine della ragazza.
Le lenzuola erano intrise di sangue virginale.
“No-non ho… non ho mai… mai provato… una cosa simile… è… è stato…magnifico…” ansimò Civa sorridendo e tirando verso di sé il viso di Piton e baciandolo infervorata.
Severus sorrise.
“Se devo restare con te ti farò soffrire. Per farmi perdonare devo darti tutto ciò che può renderti felice finché ne ho la possibilità” le sussurrò dolcemente.
“Poche cose possono darmi la felicità. O meglio, poche persone. E tu sei fra queste” disse Civa mordicchiandogli teneramente l’orecchio.
“Non sai quanta gioia mi diano queste parole” rispose Piton infilandole la lingua tra i denti.
Civa sfiorò l’avambraccio sinistro di Severus: un’ombra nera era incisa a fuoco sulla pelle candida.
“Sev, è qui che…?” sussurrò sfiorando nuovamente l’ombra e fissandola quasi ipnotizzata: le parve che, al suo tocco, si fosse lievemente scurita…
“Sì” rispose Piton gravemente, rabbuiandosi.
Che stupido era stato a credere di poter ottenere potere da quel marchio maledetto che gli aveva bruciato la carne e il cuore e aveva rovinato una delle cose più preziose che aveva: l’amicizia con Lily. Avrebbe potuto andare peggio... si disse. Si era accorto in tempo dell’imperdonabile errore commesso quando aveva piegato il capo alle Forze Oscure ed era tornato. E allora aveva capito, solo allora. Aveva compreso la gravità di quanto aveva fatto. Nel momento in cui i suoi occhi si erano posati su Civa, Severus si era reso conto di averla condannata lui stesso al terribile destino che ora l’aspettava.
Si odiava per ciò che aveva fatto, si disprezzava per averla messa in pericolo e non riusciva a perdonare la propria debolezza che lo costringeva a tenerla egoisticamente al proprio fianco quando avrebbe meritato di vivere nell’Eden con gli angeli cui apparteneva.
Con un’espressione strana, Civa leccò la forma scura che l’attraeva irresistibilmente. Poi sorrise dolcemente a Severus e lo baciò con enorme tenerezza per rassicurarlo.
“Smettila di darti la colpa di tutto il Male del mondo” lo rimproverò dolcemente. Evidentemente aveva percepito le sue sensazioni e i suoi pensieri. “È da presuntuosi. Il mondo non gira intorno a te. Be’, almeno non per tutti. Per me sì, però...”
L’uomo la osservò serio. Cercava di minimizzare. Non si rendeva conto della quantità di dolore che, per sua stupidità, avrebbe presto o tardi dovuto affrontare.
Lei sospirò e seguì con l’indice il disegno delle vene sul polso del professore.
“Sono seria, Severus” sussurrò piano. “Tu non hai colpa di ciò che è accaduto. È il destino a decidere, è Dio che tira i fili di noi marionette sul palcoscenico della vita. Possiamo solo accettare ciò che ci viene riservato e cercare di viverlo a pieno”.
Che pensiero profondo. L’aveva sottovalutata. Era intelligente la piccina. Meglio tacere.
Per qualche lungo minuto stette ad osservarla, giocherellando con una ciocca scura che le era scivolata sul viso.
“Civa… ho fatto un errore…” disse Piton all’improvviso portando una mano al sesso della giovane, ancora umido e sporco del suo seme.
“Non rovinare tutto” lo avvertì lei posandogli le dita sulle labbra.
“Non quello, amore” rispose Piton baciandole i polpastrelli.
Civa lo guardò interrogativa e lui le mostrò le dita imbrattate di liquido.
“Potrebbe esserci una conseguenza…” disse con uno sguardo preoccupato.
Civa pareva non capire. Piegò il capo di lato, con l’espressione confusa di un cucciolo.
“Civa, tu non sei più una bambina, anche se lo sembri da quanto sei esuberante... e se… se rimanessi… come dire… in…incinta?” tentò di spiegare imbarazzato lui, sfuggendo il suo sguardo.
Civa sorrise.
“Non avrei nulla da obbiettare” rispose con immane dolcezza.
Lui voltò di scatto la testa e la fissò con il viso contratto dal dolore.
“Sei troppo piccola”
“Lo sono anche per venire a letto con te”
“Davvero lo vorresti? Un bambino? Da me?”
“Sì”
E nella mente di Severus esplose nitida l’immagine della sua amata, avvolta in un abito di seta candida molto ampio, seduta con le mani intrecciate sul ventre gravido che lo osservava amorevole rimestare il calderone. E subito sentì di desiderare che si avverasse, con tutto se stesso.
*Se succedesse la condannerei... lei e nostro figlio...* tentò di contrastare quel desiderio, ma l’immagine rimase impressa a fuoco nella sua mente.
Con un sospiro, la baciò, stringendola forte.
Qualcuno bussò alla porta.
I due sobbalzarono e si ravvolsero nelle lenzuola. Non fecero in tempo a rivestirsi, Silente era entrato e li squadrava con un sorriso malizioso.
Civa arrossì e si strinse addosso il lenzuolo niveo arrossato del suo stesso sangue.
“Albus, non è come sembra… io… e poi Severus…” tentò di mentire Civa arrossendo sempre più a disagio.
Silente rise.
“Via, Civa, sono molto più vecchio di te” le disse. “Non tentare di negare ciò che è evidente ai miei occhi”.
Civa abbassò lo sguardo vergognosa.
“Io e Civa abbiamo fatto sesso, Albus” disse serio Piton. “Tu hai insistito perché non rinunciassi a lei. E io ti ho accontentato. Non rinuncio a lei, ma allora mi godo la cosa fino in fondo. Non dirmi che non avevi previsto una svolta del genere. Se mi vuoi licenziare, fallo, ma io non la lascio. L’ho giurato quando era piccola, davanti al Wizengamont” e, presa Civa per le spalle, la baciò con fervore.
“Sapevo che non sareste durati due giorni; l’amore che provate l’uno per l’altra è nato con Severus, cresciuto con Civa e non morirà mai… lo sapevo da sempre. Spero solo che tu sia in grado di sopportare il peso di così tanto amore, piccola” rise Silente scompigliandole i capelli.
Civa guardò Piton intensamente.
“Sai cosa mi aspetta, amore... dici che mi farai soffrire, ma sarai tu a soffrire nel dovermi condividere” sussurrò mortificata.
L’uomo si morse il labbro inferiore e strinse più forte la ragazza, possessivo.
“Sia maledetto il giorno il cui sono nati coloro con cui sono costretto a dividerti! Per l’amor di Dio, quanto vorrei poterti avere solo per me! E invece, pur di non farti soffrire, devo concederti di stare con coloro che amerai al pari di me! Ho troppa paura di perderti!”
Civa lo fissò.
“Non mi perderai mai, amor mio, chiunque altro entrerà nella mia vita, tu non ne potrai uscire mai, neanche dopo la fine del mondo. Perché io sono tua dall’Inizio e sarò tua per Sempre!” giurò stringendolo convulsamente.
Silente li osservò sorridendo.
“Hai fame, piccola?” chiese Piton sorridendo.
“Severus, alle due ha la visita ad Azkaban. Gli Elfi Domestici hanno preparato dei tramezzini e del succo di zucca. Abbiamo solo mezz’ora” disse Silente.
Un vassoio di tramezzini apparve sulla scrivania e una caraffa di succo di zucca rischiò di cadere addosso a Civa.
Mangiarono e bevvero a sazietà e, alle 13.55, scomparvero nel camino del sotterraneo.
Il caminetto in cui riapparvero dava su una squallida stanza di pietra viva, ammobiliata con un tavolo sgangherato e una sedia diroccata.
Faceva molto freddo.
“Sev…” mormorò Civa intimorita.
La vista le si stava offuscando e un freddo tremendo le penetrava nelle ossa.
Piton la sorresse immediatamente e l’avvolse nel suo mantello.
“Albus, non è che mi vada molto di rivedere le guardie… e non voglio che Civa le incontri, è molto debole e non lo sopporterebbe!” disse prendendo in braccio la giovane che s’andava sempre più illanguidendo.
“Cornelius, fa uscire i Dissennatori, Civa non li deve incontrare” disse Silente tassativo rivolto ad un uomo nella penombra.
Caramel s’avvicinò alle fiamme del caminetto.
“Non credo che sia possib…” ma Civa l’interruppe.
“Obbedisci!” ordinò con voce flebile.
“Come vuoi, Civa” sospirò Caramel uscendo.
Rimase fuori circa dieci minuti e il caldo andò man mano aumentando.
“Sono usciti tutti, mia signora” disse Caramel rientrando con un inchino.
Civa si rimise cautamente in piedi, appoggiandosi a Piton.
“Bene, dammi le chiavi delle celle e aspettaci qui” disse tendendo la mano per prendere le chiavi.
“Civa, credo sia meglio che Piton rimanga qui. Con i suoi precedenti è altamente rischioso farlo entrare in contatto con ex-compagni, nonostante si dica redento…” disse Caramel.
“Severus viene; tu taci e aspetta” tagliò corto lei bruscamente mentre usciva dietro a Silente.
Piton lanciò a Caramel un’occhiata compiaciuta e soddisfatta e uscì dietro a Civa, palpandole il fondoschiena in modo che lui potesse vedere.
Girarono tutte le celle, ma Civa non si fermava che pochi istanti, finché…
“Bellatrix e Rodulphus Lestrange…” lesse sulla targhetta di una cella di massima sicurezza.
Attirata da una forza invisibile, Civa aprì la cella ed entrò con Severus, dimostrandogli ulteriore fiducia.
Una donna dai ricci bruni con le palpebre pesanti sedeva in un angolo e, poco lontano, un uomo la fissava con occhi vuoti.
“Bellatrix” disse Civa fissando intensamente la donna.
Quella alzò lentamente il capo e la guardò con occhi folli. Poi, il suo sguardo si spostò su Piton e le pupille scintillarono mentre un sorriso malvagio le si allargava sul volto.
“Severus, finalmente hanno preso anche te” disse.
Piton rise cinicamente e cinse la vita di Civa con il braccio.
Il sogghigno scomparve dal viso di Bellatrix.
“Inchinati al Primo Ministro Civa Potter” disse Piton ghignando maleficamente.
“Bellatrix Lestrange… ho già sentito il tuo nome…” mormorò Civa pensierosa fissandola dritto negli occhi mentre si strofinava piano contro Severus.
“Oh- oh, la piccola Potter è diventata grande e ha perso la memoria? Eri al mio processo, piccina piccina…” disse con una vocetta mielosa, come quelle che si fanno hai bambini.
“Tu sei la cugina di Sirius Black, la sorella maggiore di… Andromeda Tonks e Narcissa Malfoy, non è così?”disse Civa ricordando improvvisamente.
“Cattivo sangue non mente mai” Piton schernì Bellatrix, infilando le mani sotto le vesti di Civa.
“Senti da che pulpito!” esclamò Bellatrix. “Parli tu che hai tradito il Signore Oscuro per una sporca piccola Mezzosangue che di te non si curava minimamente, tu che hai fatto catturare i suoi seguaci e saltare i suoi piani più ingegnosi! Per colpa tua i piccolini sono sopravvissuti e hanno distrutto il nostro Signore! Ma io lo troverò e giuro che farò ogni cosa in mio potere per consegnargli i mocciosi e diventare la sua prediletta, al posto tuo. Sporco traditore!” esclamò Bellatrix alzandosi e avvicinandosi a Piton.
Gli puntò contro l’indice della mano sinistra, infuriata.
“Ti definisci la più fedele dei Mangiamorte, Bella, non è così?” chiese Civa avanzando e afferrandole l’avambraccio. Vi conficcò le unghie e l’ombra scura si rese più nitida. Civa sorrise maligna.
“Esatto, io non ho tradito il mio Signore!” disse Bellatrix follemente.
“Andiamo Severus, questa è andata” disse semplicemente Civa votandole le spalle e uscendo al seguito del professore.
“Sai perché si è scurito quando l’hai toccato?” chiese Piton controllando il suo. Era anche quello più nitido.
Civa guardò Silente.
“Albus, è quello il mio destino, vero?” mormorò Civa.
“Severus, è il momento che tu le ridia ciò che le appartiene” disse Silente fissando intensamente Civa da dietro gli occhialetti a mezzaluna.
Piton sospirò e trasse del mantello un sacchettino di velluto che porse a Civa.
La ragazza lo aprì e ne estrasse un grosso rubino a goccia che pendeva da una catena d’oro.
“Il Rubino… quindi è proprio così” sussurrò Civa mettendolo al collo con un sorriso mentre il viso dell’uomo che aveva visto la notte del suo compleanno le invadeva la mente.
“Vorrei che non toccasse a te, ma il destino non si può scegliere… né il proprio né quello di chi amiamo. Sarò sempre al tuo fianco, amore mio, e ti proteggerò a costo della vita” la rassicurò Piton stringendola a sé.
Civa annuì e lo baciò dolcemente strofinando il visetto contro la sua guancia.
Si fermarono davanti all’ultima cella.
“Sirius Black” lesse Civa in un sussurro.
Scrutò nell’oscurità oltre le sbarre con una strana espressione, ricordando la risatina stridula in sottofondo a quella gelida al momento dell’assassinio dei suoi genitori.
Aprì la cella tenendo la mano di Severus.
“Sirius?” disse sottovoce tenendo aperta la porta.
Un movimento.
“Severus, amore, aspettami qui” disse Civa.
“No, da sola con lui non ci entri!” protestò Piton afferrandola per un polso e attirandosela a fianco.
“Severus, ti prego!” implorò Civa guardandolo con gli occhi lucidi e carezzandogli il viso con dolcezza immane.
Piton sospirò e la lasciò andare.
“Stai attenta, ti prego” sussurrò sfiorandole piano i fianchi.
La ragazza gli sorrise teneramente e s’immerse nelle tenebre della cella lasciando aperta la porta di modo che Severus potesse vederla.
Orientandosi nella labilissima luce che proveniva dal vano della porta, si diresse lentamente verso sinistra e sentì una sbarra di ferrò contro la gamba. Si sedette sul letto, fece accendere le luci e accarezzò dolcemente l’uomo raggomitolato accanto a lei.
“So che mi puoi sentire, Sir” sussurrò sdraiandosi accanto a lui e cingendogli le spalle.
Rotolò fino a trovarsi su di lui e poggiò il capo sul suo petto, abbracciandolo forte.
“Non sei impazzito come tutti gli altri, sento la ragione in te, e un debolissimo filo di speranza… guardami, Sir”
L’uomo aprì lentamente le palpebre.
Aveva il volto scheletrico, ma gli occhi brillavano di vita.
La fissò.
“Stella splendente, stella di diamante…” cantò dolcemente.
“Scendi e brilla, nel buio scintilla… era la ninna nanna che mi cantavi per farmi dormire” sussurrò Civa, ricordando con le lacrime agli occhi.
“Civa, sei davvero tu?” sussurrò Black accarezzandole il viso e stringendola forte forte a sé.
“Sì, e sono venuta per sapere la verità. Non puoi essere stato tu a tradire mamma e papà” disse sfiorando i capelli lunghi e scomposti dell’uomo e mettendosi a cavalcioni su di lui.
Sirius le sorrise carezzandole le gambe perfette e le raccontò la verità. Civa tacque, basita, e lo abbracciò forte.
“Come ha potuto?” sussurrò incredula.
Sirius scosse il capo.
“Ti aiuterò a uscire da qui, non temere… e intanto ti verrò a trovare tutti i giorni e ti tirerò un po’ su di morale, ma nei limiti, perché sono fidanzata” disse la giovane baciandogli le labbra fredde e livide.
“La mia piccola principessina ha già un fidanzato? È passato così tanto tempo, eppure mi sembra ieri quando ti tenevo in braccio e ti cullavo…” disse lui sorridendo debolmente. “… hai mai provato a trasformarti in Animagus?” chiese al’improvviso. “Data la situazione, dovresti essere in grado di trasformarti… credo tu sia un Animagus Speciale, che si può tramutare in ciò che desidera”
“Proverò e ti farò sapere, tesoro. Ora devo andare, o Albus e Sevy si preoccupano” si alzò e si diresse alla porta.
“Sevy…Severus Piton?” esclamò Black scattando in piedi e impedendole di uscire.
“Sì, Sir, Severus Piton. Il mio fidanzato” rispose lei.
“Non ti permetto di frequentarlo, è un Mangiamorte!” disse perentorio Sirius prendendola per i polsi.
“Sir, sai bene che io è Sev siamo l’una il destino dell’altro… non temere, so ciò che faccio”
“Stai attenta, c’è poco da fidarsi di lui. Non voglio ti faccia del male, non sopporterei di perderti di nuovo”
“Non mi farà mai del male, Sir, Sev mi ama. Stai tranquillo… ci vediamo domani” e, dopo avergli dato un bacio sulle guancie incavate, uscì.
“Tutto bene?” chiese subito Piton abbracciandola sollevato.
“Mai stata meglio…” rispose lei dolcemente mentre lui la stringeva forte e le palpava i glutei.
Si allontanò di scatto e Piton la guardò sorpreso.
Civa fece cenno col capo verso il corridoio buio alle loro spalle.
“Cornelius, invece di seguirci in stile Lupin III, renditi utile” disse ad alta voce.
Caramel uscì dalla penombra.
“Ho nuovi ordini per Black:
 Allentate la sorveglianza;
 Niente più Disennatori;
 Una cella più grande, luminosa e areata, con servizi igienici tenuti ben puliti e qualcuno che la rimetta in ordine e cambi le lenzuola tutti i giorni;
 Vestiti nuovi, lavati quotidianamente;
 Barba tutti i giorni e capelli una volta al mese;
 Doccia tutti i giorni;
 Libri, musica, riviste e tutto ciò che gli consenta di svagarsi;
 Mangerà tre pasti base al giorno, colazione, pranzo e cena, tutti preparati da un Elfo Domestico che invierò prontamente questa sera perché si metta al suo servizio.
“Tutto questo entro domani, se non vuoi essere licenziato in tempi brevi... ah, mandagli Olivander, deve avere una bacchetta nuova al più presto. Niente discussioni”.
Lo guardò con occhi di fuoco.
“Come vuoi Civa. Darò subito disposizioni” disse Caramel e se ne andò di corsa, terrificato.
“Perché…?” cominciò Piton, ma Civa lo zittì infilandogli la lingua tra i denti.
“Niente discussioni” disse con un sorrisetto malizioso. “Usciamo di qui” aggiunse poi e si mise al suo fianco mentre se ne andavano.
Silente taceva.
“Penso sia ora che tu vada a casa, Civa” disse infine il Preside quand’ebbero raggiunto la saletta squallida.
“Ti accompagno, amore” disse Piton.
“A domani, nonno Albus” salutò Civa cingendo la vita di Severus.
"A domani, piccolina” le disse lui con un sorriso scompigliandole i capelli.
“Ti amo” sussurrò il professore baciandola teneramente.
Scomparvero.
Si ritrovarono nel giardino del n°4 di Privet Drive.
“Com’è possibile?” fece Piton esterrefatto. “Già è strano che tu riesca a smaterializzarti, ma dentro ai confini di Azkaban!!”.
“Non mi chiedere come, non ne ho la più pallida idea!” rise lei rimanendo stretta tra le sue braccia.
Lui le diede un buffetto sulla guancia e la baciò intensamente.
Quando lo lasciò, Civa vide la vicina fissarli allibita da dietro la siepe. Arrossì, ma non lasciò le braccia di Piton.
“Civa! Sapevo che non eri santa, ma con un uomo di quell’età! Dovrò avvertire subito i tuoi zii, non è possibile!” esclamò la donna scandalizzata.
Per tutta risposta, Civa guidò le mani di Piton sotto l’abito e lo baciò con ardore.
La donna rientrò sconvolta.
Civa rise.
“Ma quanto sei cattiva, piccola, non va bene così” disse lui sorridendo e stringendola possessivamente.
“Ciao amore… ci vediamo domani?” fece Civa rivolta all’amato.
“Certo piccola, a domani” la baciò un’ultima volta e lei entrò in casa.
Si precipitò in salotto e spalancò la finestra.
“Ciao!” gridò.
Severus le soffiò un bacio, lei lo prese al volo e Piton fece per andarsene, ma Civa gridò il suo nome.
Tornato sui suoi passi, raggiunse la finestra dalla quale si sporgeva la giovane strega e le tese le braccia.
Lei si issò sul davanzale e gli piombò in braccio.
“Voglio venire con te!” disse fissandolo intensamente.
Severus scosse il capo.
“No, bambina, non puoi”rispose.
"E invece sì! Vengo con te, ovunque tu vada!” insistette la ragazza.
“Ma non posso tornare ad Hogwarts, è chiusa fino a settembre!”
“Allora andiamo dove vuoi tu! Un hotel, una locanda... l’unica cosa che voglio è stare con te!”
“Non ti posso portare a casa mia, non è degna d te!” protestò Piton carezzandole il viso.
“Non mi importa, verrò ovunque mi porterai!”
"E tuo fratello?”
“A- non è mio figlio, B- so sdoppiarmi, perché non farlo?”rispose lei semplicemente.
Gli sfilò la camicia e gli fece scivolare le mani sul petto e sugli addominali, strinse le dita attorno ai suoi fianchi e le fece scorrere sotto i suoi pantaloni, sfiorando l’elastico dei boxer.
“Avanti Sev, so che anche tu lo vuoi. Non ti voglio lasciare più, nemmeno per un secondo…” sussurrò maliziosamente.
“ E va bene, piccola streghetta, non ti posso resistere quando fai così!”rispose Piton afferrandole i fianchi con forza e facendola combaciare con il suo basso ventre. “Però ti toccherà scontare un piccolo castigo: non si corrompono così i professori”
Civa rise dolcemente e si leccò le labbra e spinse le dita oltre l’elastico.
“Dio, Civa, aspetta almeno che arriviamo a casa... se continui così sarei capace di prenderti subito, qui dove siamo…”
I Dursley li osservavano scandalizzati dalla finestra.
“Zia, zio, non aspettatemi alzati, tanto non torno...” disse ridendo mentre Piton la sollevava e la bloccava contro il muro con in viso un sorrisino satanico.
Scomparvero e nello stesso istante, un doppio di Civa comparve nel salotto della casa, sotto lo sguardo terrorizzato e scandalizzato degli zii.
Si gettò sul divano, a occhi chiusi, sorridendo.
Quando riaprì gli occhi, gli zii la fissavano allibiti.
Civa li salutò allegramente e corse in camera.
Raccontò al fratello quasi tutto ciò che era accaduto quel giorno, evitando di rivelare l’identità di Severus, ciò che le aveva raccontato Silente nel suo ufficio e la verità di Black.
 
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